Recensione Vital

Tsukamoto alla ricerca dell'anima in un dramma toccante e poetico

Recensione Vital
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A seguito di un terribile incidente stradale, Hiroshi (Tadanobu Asano) ha perso la memoria, mentre la sua fidanzata Ryôko (Nami Tsukamoto) ha tragicamente perso la vita. Per cercare di tornare a un'esistenza normale, il ragazzo riprende a studiare anatomia per scoprire che il corpo sul quale sta lavorando è proprio quello della sua compagna scomparsa. Invece di rimanere scosso dall'agghiacciante rivelazione, Hiroshi diviene ossessionato dal cadavere, in una spasmodica ricerca dell'anima di Ryoko. Nel frattempo tra ricordi che riaffiorano nella sua memoria e una nuova relazione, Hiroshi comprenderà come proseguire la propria esistenza.Presentato nel 2004 nella sezione "Orizzonti" alla 61ª Mostra del Cinema di Venezia, Vital si può definire tra le opere più complesse e intimiste di Shinya Tsukamoto, lontana dalla solita frenesia del suo cinema e qui concentrato sui personaggi e le loro emozioni come mai prima d'ora nella sua carriera. Il corpo infatti in questo caso invece di divenire l'obiettivo, per quanto apparentemente possa sembrarlo, è soltanto un mezzo per raggiungere la vera meta: la scoperta dell'anima, la comprensione della vita stessa in un viaggio personale intriso di rimorsi e rimpianti per arrivare alla consapevolezza.

Dov'è l'anima?

Sul sottile confine che separa la morte e la vita Tsukamoto incentra la struttura narrativa di Vital, ad oggi tra le vette più alte della sua carriera. Lo fa senza eccessi, con una poetica riservata e teneramente visionaria, concedendo assai poco alle vette estreme del suo Cinema (racchiuse quasi tutte nella presenza della nuova ragazza di Hiroshi, dedita a pratiche sessuali estreme) ma riuscendo comunque a colpire nel profondo. Il dramma, non essendo privo comunque di una carica efferatamente, e crudelmente, morbosa, è toccato da picchi di altissima umanità, indagando con lucida analisi nei meandri del lutto, della perdita, della colpa, senza svanire in smielati patetismi ma anzi ricercando una nuova via per comprendere infine qualcosa di privatamente incomprensibile come la morte.

Esiste un'anima, o siamo soltanto informi corpi di carne atti a nascere e a dissolverci dopo il nostro ciclo vitale? Il maestro nipponico cattura appieno questa marea di sensazioni, districandosi nei rapporti personali del protagonista, alle prese sia con i genitori della fidanzata scomparsa, sia con la nuova compagna, quasi fosse in un limbo, sospeso tra il suo passato e il suo presente, tra il vivere e il morire. I numerosi passaggi onirici, nei quali Hiroshi ritrova Ryoko, sono sottolineati da una fotografia solare e vivida, in netto contrasto col cupo grigiore della realtà. Tutto il film, finale incluso, è accompagnato da un velo di speranza che mette in netto contrasto Vital rispetto ai film precedenti di Tsukamoto, qui nuovamente attore nei panni del custode dei corpi, sorta di guida per il personaggio interpretato da Tadanobu Asano, in una delle prove più intense e difficili della sua carriera. Un'opera che spiazza, che mostra il volto più toccante di un regista sempre pronto a sorprendere.

Vital In quale zona del corpo si trova esattamente l'anima? E' questo l'incipit, ambizioso, da cui il maestro giapponese parte per realizzare un'opera complessa, diversa dalle sue passate, pervasa di intimismo e di speranza. Lontana dalla frenesia classica del regista, tocca alte vette di poesia nei passaggi onirici, indagando con sottile e rispettosa umanità nel limbo che separa la vita e la morte, trattando temi ardui come quelli del lutto e della colpa con una sensibilità degna del grande Maestro quale è Tsukamoto.

8.5

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