Recensione Verso l'eden

Uno Scamarcio di poche parole ma dalle grandi avventure per Costa-Gavras

Recensione Verso l'eden
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Io, Elias

Elias (Riccardo Scamarcio) viene da lontano. Potrebbe essere armeno, turco, albanese. Potrebbe essere qualunque cosa, ma a conti fatti è solo un giovane uomo che cerca qualcosa: una magia per la quale darsi da fare e continuare a vivere una vita del cui passato non sappiamo niente, ma su cui durante la visione tiriamo a indovinare molto volentieri.
Dopo essere sfuggito alla polizia portuale da una carretta del mare abbandonata dagli stessi scafisti, Elias approda (o per meglio dire, naufraga) su una spiaggia nudista greca, per finire poi in un villaggio turistico di prima classe, dove incontrerà l’uomo che gli mostrerà la “magia” che cerca. E che lo spingerà verso un’ulteriore, e ancor più lunga, odissea, con Parigi come meta finale. Ma, come si suole dire in questi casi... è la destinazione che conta, o quello che scopriamo e viviamo lungo la strada che ci porta verso l’Eden?

L’anello di Möbius

Da un maestro come Costa-Gavras non ci aspettavamo certo una commedia adolescenziale, né il classico filmetto di denuncia sociale facile; e infatti non si può certo rimanere delusi da questo punto di vista. Un po’ spiazzati, però, sì, in quanto non è una pellicola “pesante” come ci si potrebbe aspettare.
Verso l’Eden è un film a più livelli, e come tale di difficile classificazione. Non è una commedia, nonostante i tanti richiami alle comiche di cui il cinema odierno si è praticamente obliato (salvo in rari casi). Non è un film prettamente drammatico, anche se l’argomento trattato e la sorte del bello e ingenuo migrante interpretato da Riccardo Scamarcio non siano certo da cronaca rosa.
E’ un film surreale, a tratti poetico, a tratti grottesco, con un’acida mescolanza tra toni ultra-realistici e altri decisamente fiabeschi.
Il film sull’immigrazione con Scamarcio è il modo in cui molta stampa l’ha presentato. Mediato da queste informazioni, l’approccio all’ultimo lavoro di Costa-Gavras è, in facto, vittima di pregiudizi di fondo, gli stessi su cui indaga il regista greco naturalizzato francese.
Il tema dell’immigrazione in realtà è solo un pretesto per parlare non tanto (o non solo) di viaggi della speranza, integrazione sociale, sacrificio in nome di un futuro migliore, ma di come l’occhio spesso inganna, mentre il cuore no.
Di Elias non è importante il suo background geopolitico: è il suo trascorso umano che ci interessa, è il suo essere profondamente buono e onesto anche nelle situazioni più cupe, in cui si concede dolore ma non una lacrima (se non nella scena culmine del film).
Così come il suo essere bello non è un capriccio in nome del marketing, ma una precisa scelta autoriale volta a far vedere come la gente si rapporta col prossimo, a seconda di come esso si presenti. Durante il film il personaggio interpretato da Scamarcio cambia d’abito decine di volte, e ogni volta appare come un essere nuovo, per il quale la gente prova di volta in volta rispetto, avversione, attrazione fisica, dovere, compassione. Eppure il povero Elias rimane sempre intimamente uguale e fedele a sé stesso: è dunque la diversa percezione dell’altro e l’eventuale, successiva, disillusione, la chiave di interpretazione principale di quest’opera tutt’altro che semplice, e piena di simbolismi tutt’altro che scontati.
E in tutto questo, vediamo Elias come rincorrersi, andare verso l’Eden partendo dall’Eden Holiday Resort, per poi ripartire, come da capo, all’inseguimento della magia.

Le parole contano, anche quando non sono pronunciate...

Al di là dell’ottima messa in scena del tutto (interessanti location, colonna sonora adeguata, dozzine di attori convincenti e una camera esperta e sicura) quello che stupisce è la rappresentazione del protagonista ad opera sia del regista che dell’attore principale.
Il lavoro che Riccardo Scamarcio ha svolto per questo film è effettivamente tangibile, e decisamente fisico: conoscevamo già le sue espressioni corrucciate da “dannato dal buon cuore e dal bel sorriso”, ma inserite in un contesto in cui la mimica assume un’importanza perlomeno doppia rispetto al solito, acquistano un altro significato. La performance dell’ex Step di 3MSC è infatti perlopiù muta: Elias biascica tre parole stentate di inglese e due frasi in francese in tutto il film, più un paio di brevi ma significativi dialoghi nella sua lingua madre, inventata appositamente per il film. Il suo esprimersi a gesti e il suo cercare di capire col cuore quello che gli altri gli stanno dicendo è una sincera sorpresa che non può che far contenti tutti, detrattori in primis.
Tranne forse le sue fan più piccole, scappate dalla sala dopo neanche una mezz’ora dall’inizio della pellicola, quando oramai il bel Riccardo era già stato messo a nudo in tutti i modi dall’abile macchina da presa del maestro Gavras.

Verso l'eden Verso l’Eden è un film d’altri tempi, e per questo assai ostico, fors’anche per il pubblico colto, che ha oramai perso l’abitudine ad osservare e ponderare, in un periodo in cui al cinema si guarda e basta. Di messaggi e spunti (spesso palesemente personali e autobiografici) la pellicola è piena, ma sta al proprio gusto decidere se ridere, piangere o restare indifferenti davanti alla storia di Elias, alla conferma di un grande regista, ed alla genuina interpretazione di uno Scamarcio traghettato sì, ma da mani sicure, verso il cinema di merito. Da vedere, possibilmente in lingua originale così da non perdere lo spirito autentico di “Babele linguistica” che un po’ si perde nella versione nostrana.

7

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