Recensione Valley of Love

Guillaume Nicloux presenta in concorso al 68° Festival di Cannes un film sull'elaborazione del lutto e la ricerca della pace, affidandosi completamente ad un passo a due tra Depardieu e Huppert che salva il film, ma non basta. a renderlo vincente.

Recensione Valley of Love
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Isabelle e Gérard (nomi curiosamente identici a quelli degli attori che li interpretano, Gérard Depardieu e Isabelle Huppert) sono divorziati da anni e hanno formato, in modi e tempi diversi, altre famiglie. In comune hanno solo Michael, un figlio che non vedono da moltissimo tempo e di cui sembrano aver dimenticato perfino l'esistenza almeno finché, in un giorno d'estate, non si ritrovano entrambi nella Death Valley in California con due lettere d'addio, insensatamente postuma rispetto alla sua morte ed una cartina con un itinerario segnato. Di Michael non è rimasto più altro se non inchiostro su un foglio di carta: non ci sono ricordi, non c'è nulla a parte quelle parole indirizzate ai genitori, memori di un abbandono che non sembra aver dimenticato, ed una promessa di rivederli entrambi alla fine di quel viaggio. "So che sembra solo un brutto scherzo", scrive Michael ad entrambi, e all'inizio lo sembra anche allo spettatore. Eppure i due ci credono, spinti probabilmente dal rimpianto di non aver avuto un ultimo incontro. Per Isabelle, che non è andata nemmeno al funerale del figlio, quella lettera diventa una parola sacra da seguire alla lettera mentre Gérard, più scettico, cerca di riportarla alla realtà e si lamenta solo del caldo e di una gioventù passata che gli ha lasciato troppa pancia ed un appuntamento dall'oncologo. Tra di loro e tra la loro Valley of Love il regista Guillaume Nicloux non si intromette mai: le inquadrature li vedono spesso di spalle, attraverso i vetri delle auto o nelle loro camere d'albergo. Parlano poco, Isabelle e Gérard, sembrano chiusi sempre negli stessi argomenti e nelle loro convinzioni, eppure arriverà un momento in cui finalmente riusciranno a camminare sulla stessa corda e finalmente comprendersi a vicenda per la prima volta.


Un meccanismo ripetuto, fatto di dialoghi sempre uguali, che a lungo andare non riesce a convincere lo spettatore.

C'è qualcosa di brutalmente drammatico nelle lettere di Michael, ed è la loro incredibile lucidità, la freddezza con cui sono state scritte e consegnate. Perfino le modalità del suicidio del ragazzo sembrano parte di un incredibile piano escogitato al solo scopo di riunire i due genitori per una settimana - cosa che suggerisce perfino Gérard: "Forse è tutto uno scherzo, una punizione per il modo in cui lo abbiamo abbandonato". Già, perché il motivo di quel distacco che è costato a Michael tante pillole ingoiate e l'incontro con la morte è solo accennato, mai discusso dai due, eppure presente come un'ombra tra di loro, un fantasma con cui devono fare i conti e che brucia sulla pelle. Eppure, dietro il fascino di un soggetto apparentemente pieno di spunti sta una realizzazione, quella di Guillaume Nicloux, povera di una vera intensità. Isabelle Huppert e Gérard Depardieu, da grandi attori quali sono, caricano sulle loro spalle tutto il film e riescono a regalare momenti molto intensi anche con il materiale che si ritrovano in mano - che rappresenta però il vero problema del film. Nonostante la durata abbastanza breve (circa 93 minuti), la costruzione diventa quasi subito ripetitiva e mancante soprattutto di una vera evoluzione: i dialoghi sembrano eccessivamente ripetuti e gli stessi concetti, dalla banale attestazione del caldo fino al motivo per cui i due si ritrovano in quel luogo, fanno capolino dalle labbra dei protagonisti in maniera continuativa e costante. Ne risente l'intero processo, che arranca per tutto il suo svolgimento e si perde anche nel finale, nonostante la presenza scenica dei protagonisti. Sono loro a sollevare la pellicola: un Depardieu appesantito, goffo e costantemente sudato al fianco di una Isabelle Huppert capricciosa, instabile e fragile determinano l'unico vero ed innegabile punto di forza del film, che purtroppo però non basta.




Valley of Love Costruito interamente su un duo attoriale potente, Valley of Love si fonda sul binomio Huppert/Depardieu, che porta avanti il film con convinzione ma nulla può contro dialoghi eccessivamente ripetitivi ed una regia piatta, priva di una vera evoluzione all'interno dei seppur pochi minuti di pellicola. Il soggetto di Guillaume Nicloux è interessante ed in alcuni momenti viene anche costruito in maniera convincente, ma non bastano un paio di scintille a sollevarlo: esattamente come per il cellulare della protagonista, sembra di avere a che fare continuamente con una cattiva ricezione ed un segnale disturbato, che rende la conversazione con lo spettatore comprensibile solo a tratti ed intervallata da rumori di fondo che alla lunga portano a smettere di ascoltare.

6

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Cannes 2015
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