Recensione Una spia non basta

Uno spy-movie riciclato e in crisi di identità

Recensione Una spia non basta
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Dall’avvento ormai “preistorico” dell’agente 007, la cinematografia d’oltreoceano ha rielaborato e rimpastato il genere spionistico nei più disparati modi, dando vita, spesso e volentieri, a miscugli fin troppo eterogenei dai quali ci si poteva comunque aspettare - almeno sulla carta - un gran numero di sorprese, rivelatesi a volte efficaci e altre meno.
In particolare, negli ultimi anni, abbiamo assistito a svariati esempi di spy-movie nei quali si è tentato, seppur con esiti alterni, di applicare alla storia una componente romantico-sentimentale in grado di trasformare il machismo dei protagonisti in un elemento quasi a loro sfavore.
Discorso, questo, che si applica in toto all’ultima fatica registica di James McGinty Nichol - meglio conosciuto con lo pseudonimo di McG - già responsabile della doppia trasposizione cinematografica del serial Charlie’s Angels e di Terminator Salvation, quarto capitolo della saga dei cyborg iniziata da James Cameron nel 1984.

UNA SPIA BASTA...E AVANZA!

Tuck (Tom Hardy) e FDR (Chris Pine) lavorano in coppia per la CIA e sono amici per la pelle sin dall’infanzia. Il primo è separato e con un figlio, il secondo è il tipico dongiovanni che cambia donna prima ancora che questa se ne accorga.
Ciò che presto li unirà, oltre al lavoro e all’amicizia, sarà una single di nome Lauren (Reese Witherspoon) conosciuta in un primo tempo su Internet da Tuck e della quale anche FDR si invaghisce. Chi la spunterà, alla fine?

Nell’arco della sua ora e mezza di durata, tutto quanto il film ruota attorno al triangolo formato dall’amico che spia a sua volta l’amico - e viceversa - nella speranza che questo non mandi a monte i suoi piani con la pollastra di turno. Spia, appunto, perché, come detto, i nostri protagonisti sono due agenti della CIA ai quali viene affidato il compito di fermare un terrorista tedesco intenzionato a creare guai all’intera nazione. Questo insomma l’unico spunto che ci rende in grado di identificare Una spia non basta (This Means War in originale) come uno spy-movie a tinte rosa e non soltanto come una commedia romantica dai toni brillanti condita con qualche espediente tecnologico.
Tuttavia, a fronte di quelli che sono i risultati, sarebbe forse stato meglio così, perché la sensazione predominante lungo tutti i 90 minuti è quella di trovarsi di fronte a un’opera incompiuta, spaesata e alquanto incerta su quali siano i suoi intenti e le sue reali potenzialità. Potenzialità che il regista McG, insieme ai protagonisti Tom Hardy, Chris Pine, Reese Witherspoon e l'attrice comica Chelsea Handler -impegnata in un ruolo minore- provano a mettere in atto; l’uno con sequenze, c’è da dirlo, piuttosto ammirevoli dal punto di vista prettamente tecnico ma, talvolta, solo fini a se stesse, gli altri con performance abbastanza simpatiche ma certamente non in grado di salvare da sé l’intero film.
Ciò che funziona meno è proprio lo script - a firma di Timothy Dowling e Simon Kinberg - il quale sfrutta situazioni ripetitive e non di rado prevedibili adagiandosi su una struttura narrativa oltremodo blanda e riciclata, del tutto incapace di proporre qualcosa che vada al di là del già visto.
Qualche momento azzeccato (su tutti la scazzottata nel ristorante tra i due ormai momentaneamente ex amici) e una buona colonna sonora rappresentano i pochi motivi per cui spendere i soldi del biglietto.
Il resto, purtroppo, è da dimenticare.

Una spia non basta Dal regista di Charlie’s Angels e Terminator Salvation, uno spy-movie in crisi di identità che si riduce ad essere più che altro una commedia romantica dai toni brillanti con un po’ di azione e poca verve. Dei protagonisti simpatici, una buona colonna sonora e alcuni momenti gradevoli non suppliscono tuttavia a una sceneggiatura davvero troppo prevedibile e in cui il già visto rappresenta la componente primaria.

5

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