Recensione Un gioco da ragazze

Ricche, belle, magre, tossiche e...cattive!

Recensione Un gioco da ragazze
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Un tris di lascive ninfette tra sesso, alcool, droga e piani seduttivi

Questo gioco è un brutto gioco. Non nell'accezione censoria del termine, ma proprio nella qualità del lavoro.L'esordio alla regia di Matteo Rovere, questa sorta di enfant prodige del cinema nostrano che a 19 anni riscuoteva già successi con i suoi cortometraggi, sbaglia la prima. La trama, che sembra uscita direttamente da un telefilm U.S. (vedi Gossip Girl), è presto detta: un trio di spregiudicate fanciulle di agiatissima provincia italiana (o italiota) si dividono tra shopping senza frizioni e feste senza censure, belle, magre, tossiche fluttuano superficialmente nell'oceano del nichilismo. Questo sarebbe l'intendimento primo: squadernare un angolo (non ridente) di adolescenza italiana, tutta ispirata ai modelli mediatici (vedi Kate Moss). Il gioco principia allorchè nella pulita scuola arriva Mario Landi (Filippo Nigro), insegnante simmetricamente opposto che tenterà di rettificare le allieve a colpi di libri ed onestà, ma viceversa sarà lui stesso a diventare preda dei lascivi baloccamenti di loro.

La ricchezza, il vuoto e la noia

Quindi uno spicchio piuttosto sparuto della nostra società, visto che ben pochi giovani conoscono le piscine private, gli champagne e i locali più esclusivi; una risposta patinata al proletario AlbaKiara, come ha già potuto evidenziare qualcuno.Ma la fortuna del film per la verità l'ha fatta la mal assortita censura italiana, che prima appone il suo insensato sigillo "v.m.18" per poi revocarlo, consumando questo piccolo pasticciaccio all'italiana che comunque è servito come cassa di risonanza al lavoro. La censura, che al massimo dovrebbe essere per la maldestrezza del film, non ci stava per niente. Un film girato da un regista 25enne e da attrici appena maggiorenni si rivolge idealmente ad un pubblico fresco; il seme della "scomunica" sta nella regia neutrale, fredda, asettica come le protagoniste, una regia che non si preoccupa di riscattare alcun valore morale, di trovare il letificante finale redentore, che lascia tutto così come lo presenta e come lo intende denunziare. E' probabilmente questo l'affare che salva, anche nella sua credibilità, il lavoro, quale riesce a trattenersi dai facili moralismi preteschi. Anzi la denuncia è sottesa, rivolta all'incuria di molta genitorialità doviziosa che spesso dimentica la splenetica prole (ma per favore non parliamo di poetica gioventù maledetta, qua è solo vuoto vizio, non disagio spirituale) che quindi decide a bella posta di abdicare a sè stessa per industriarsi in torbidi giochi "anti-tedio".Il lavoro pesca dall'immaginario ormai creato dai "noir-teen-movie" di cui il più simile potrebbe essere "Thirteen" di Hardwicke; dalla consueta cronaca nera, lo stesso Rovere ha dichiarato di aver tratto ispirazione dalle Muse Erika e Omar e dalle stupidaggini delle gemelle Cappa (quelle del delitto di Chiara Poggi), e pesca inevitabilmente da una certa letteratura underground (ma non nemmeno poi troppo) stile Isabella Santacroce; insomma è la vittoria dei media e dei clichè.

La trasgressione non si redime

Le cattive ragazze interpretate dalle esordienti e (quindi) perfettibili Nadir Caselli e Desiree Noferini vengono capeggiate dal capo-branco, un branco molto ben abbigliato sia detto, Chiara Chiti (Elena nel film) che darà l'iniziativa a quanto succitato. Ma come detto il film non convince, questo perchè la seconda parte è troppo irrisolta, perchè la regia, che tutto sommato per un esordiente è accettabile, avrebbe dovuto essere più tagliente, più mordace; tutto risulta sì eccessivo e trasgressivo (diciamo ancora così...) ma al tempo stesso anche scialbo. La sceneggiatura è troppo infarcita di luoghi comuni, troppo "media-dipendente", sembra quasi sia stata pensata per dar linfa ai dibattiti televisivi del pomeriggio, tutti tesi a sviscerare i rapporti sociali nella più monumentale delle apologie all'ignoranza. I toni spesso si fanno esclamativi, troppo gridati per un film che dovrebbe fare del freddo calcolo la sua prerogativa e di trama e di contenuto, ma Rovere non è Gus Van Sant e di questo lo perdoniamo, ma non possiamo assolverlo quando date scene che vorrebbero essere drammatiche diventano comicamente grottesche, quasi diventassero la caricatura di sè stesse, peccando totalmente di senso estetico e se il cinema è spettacolo visivo come crediamo sia, qua, apparte una buona fotografia, si scade. ll tentativo poi di far riflettere sulla scollacciata corrività di una fetta (nutrita o meno) di gioventù è piuttosto noioso e goffo. Il lavoro mostra i lati più sensuali e gli strepiti della storia, non lasciando molto spazio alle sfumature di una regia perfettina e troppo poco ficcante.D'altro canto non possiamo non riconoscere a Rovere il coraggio di aver reciso le catene del lassismo dominanti in Italia grazie all'impregiudicato finale a tinte nere, di aver tentato di imbellettare la violenza in un esercizio dandystico che purtroppo non riesce, benchè la fotografia e la cornice scenica consolino, infine di aver trattato il bullismo femminile.Il lavoro, che per la cronaca è mutuato dal romanzo omonimo di Andrea Cotti qui co-sceneggiatore, è stato tra i film più discussi nell'edizione della Festa del Cinema di Roma 2008 e sta solcando mari, travalicando monti alla ricerca di consensi internazionali.

Un gioco da ragazze La diseducazione ed il precariato sentimentale vengono qui raccontati con disincanto in una vita senza regole dove "tutto e subito" sono gli aggettivi qualificanti delle tre ninfette. Dietro l'apparente perbenismo ci si abbandona ad un nichilismo fatto di sesso e violenza; un viaggio nell'età dell'incoscienza laddove la coscienza non affiora, anzi naufraga in un mare di alcool e droga quando la noia deve esser soppiantata da giochi tutt'altro che innocenti.

5.5

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