Recensione Tropa de Elite - Gli squadroni della morte

Uno sguardo di sbieco sul Brasile contemporaneo

Recensione Tropa de Elite - Gli squadroni della morte
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Rio de Janeiro, Estate 1997. Il Papa sta per venire in visita in Brasile in occasione della giornata mondiale della famiglia ed il governo, pur di fare bella figura, ha disposto un piano di pulizia coatta della favelas più facinorose. L'operazione sarà affidata al B.O.P.E. (acronimo di Batalhão de Operações Policia Especiais, l'equivalente della nostra D.I.G.O.S.) e posta sotto il comando del capitano Roberto Nascimiento (Moura), ritenuto da tutti il miglior ufficiale del Corpo. Contemporaneamente due ragazzi, Matias (Ramiro) e Neto (Junqueria) decidono di entrare in polizia, mossi da grandi ideali e anche da una profonda ingenuità. Si troveranno però davanti ad un sistema corrotto e marcio fino al midollo, dove i militari si confondono con i narcotrafficanti e con il crimine organizzato; schifati dal sistema e dopo aver salvato la vita al loro tenente (Cortaz) decideranno di entrare nel B.O.P.E.. Sarà a questo punto che le loro strade si intrecceranno con quella del Capitano Nascimiento.

Vincitore dell'Orso d'Oro all'ultimo festival di Berlino, ed osannato in patria ed all'estero come il prototipo del nuovo cinema sudamericano, Tropa de Elite è un'opera importante e violenta, che scuote profondamente lo spettatore. Affidandosi ad una regia ultra sintetica, assimilabile a quella di un reportage televisivo, José Padhila (qui al suo primo lavoro importante) traccia un affresco tragico della società brasiliana, impietoso sia nei confronti delle vittime che dei presunti carnefici. Partendo dall'analisi psicologica di tre uomini che hanno scelto "il mestiere delle armi" l'autore affronta senza timore gli aspetti più turpi del suo Brasile, stretto in una morsa di morte e violenza dalla quale pare non riuscire a liberarsi. Sono violenti i narcotrafficanti, che bruciano ragazzini e controllano le favelas come monarchi assoluti ma, allo stesso tempo, anche gli uomini del B.O.P.E (la truppa d'elite del titolo), costretti da un addestramento disumano a dimenticare la pietà, non lesinano mai nell'uso delle maniere forti, in maniera a volte indiscriminata. Tuttavia l'occhio accusatorio del regista non calca la mano né sui criminali né sui poliziotti, visti, fondamentalmente, come due prodotti opposti dello stesso degrado sociale ed umano; i veri colpevoli sono le classi agiate, rappresentate nel film da un gruppo di studenti universitari che, con la scusa di una O.N.G., spacciano droga. Con loro Padhila non ha nessuna pietà, ritraendoli come dei miseri Radical - chic debosciati e privi di veri ideali, nascosti dietro un'ipocrisia di facciata ma, alla fine, interessati solamente alla purezza della cocaina da tirare nei locali più trendy di Copacabana. In questo viaggio fra i mali dell'America latina moderna non vediamo mai uno spiraglio di luce, Tropa d'Elite è un film angosciante non tanto per la violenza di alcune scene (del tutto assimilabile alle altre pellicole del genere) ma per l'onestà tremenda con cui tratteggia il degrado; non c'è speranza nelle inquadrature, l'unica cosa che vediamo sono delle baraccopoli fatiscenti in cui ragazzini di 14 anni maneggiano armi automatiche, che noi Europei siamo abituati a vedere solamente nei teatri di guerra mediorientali. Non c'è traccia in questo film del Brasile da cartolina, del Maracanà o dei bambini che giocano a calcio sulle spiagge bianchissime, circondati da belle ragazze in costumi succinti. No, in Tropa de Elite siamo nelle Favelas ad est di Rio, un covo di malaffare e brutalità che lascerebbe senza parole anche il più addestrato dei militari.Per il suo rigore documentaristico e per la sua importanza sociale (il film è stato un caso in Patria ed ha scalato la classifica in pochissimo tempo) si potrebbe quasi paragonarlo al nostro Gomorra, purtuttavia con una sostanziale differenza, laddove Gomorra cerca la sua cifra stilistica nell'iperrealismo del dialetto e della ripresa in loco, Tropa de Elite non dimentica mai il suo essere prima di tutto un'opera di fiction e tale è, fino in fondo. Nella parte centrale del film, si assiste infatti ad un generale abbassamento della tensione drammatica, a favore di una componente più ironica, soprattutto nelle sequenze che mostrano l'addestramento delle reclute del B.O.P.E, che il regista ha girato senza lesinare in ammiccamenti nemmeno troppo velati alla mitica Parris Island di Full Metal Jacket. In conclusione non si può non riconoscere al regista un invidiabile coraggio nel trattare così male il suo Paese e, senza dubbio, Tropa de Elite mostra una realtà molto spesso assente dai telegiornali e dai media europei. Benvenga dunque un film come questo, qualcuno forse dirà che nella sua foga redentrice il regista ha ceduto alla retorica neo - con e che alcuni passaggi denotano una regia non raffinata come quella delle produzioni europee ed americane, ma, seppur tagliata in maniera un po' approssimativa, Tropa de Elite resta una gemma preziosa, ed un documento fondamentale per capire il Brasile contemporaneo.

Gli interpreti, nonostante alcuni eccessi recitativi, soprattutto nel personaggio del capitano Fàbio, si dimostrano molto in parte e, seppur in molti casi alla prima esperienza cinematografica seria, non hanno paura a confrontarsi anche nelle scene più fisiche e sporche. Moura, nei panni del Capitano stretto fra il desiderio di giustizia e la volontà di costruirsi una vita normale con la sua famiglia, è credibile anche se, come nel caso del capitano Fàbio, ogni tanto calca troppo la mano facendo diventare caricaturali certi comportamenti che non avrebbero dovuto esserlo. Bravissimi invece sia Junqueira che Ramiro, che, nella loro costruzione di due personaggi opposti ma complementari, chiudono perfettamente il novero dei protagonisti.

Tropa de Elite - Gli squadroni della morte Tropa de Elite è un film forte, che colpisce allo stomaco prima ancora che alla mente. Girata quasi come un documentario e forte della sua onestà nel ritrarre il degrado del Brasile di fine anni ’90, la pellicola è un importante documento sociologico prima ancora che artistico. Pur con qualche imperfezione, come l’onnipresente e pedante voce fuori campo e alcune sequenze non troppo riuscite, riteniamo che il film meriti i premi che ha ricevuto ed il plauso del grande pubblico. Se, sfidando la pessima distribuzione italiana, riuscirete a vederlo, non rimarrete sicuramente delusi.

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