Transformers 3 è un prodotto sicuramente particolare. Terzo episodio di una saga che ha fruttato a Paramount, Hasbro e ai suoi produttori cifre a nove zeri, molti potrebbero liquidarlo come 'il solito giocattolone', emblema di un cinema povero d'idee e avaro di denaro. Il che, per certi versi, è vero.
Ma il nuovo film di Michael Bay vanta anche aspetti molto interessanti e meritevoli di essere portati alla luce, proprio in virtù di quel che rappresenta e di come è stato realizzato.
Innanzitutto, è curioso pensare come uno dei film, anzi, una delle saghe, più patriottiche di sempre nasca da una serie di giocattoli e cartoni animati di matrice giapponese, riadattata per il gusto americano e riscoperta dall'industria hollywoodiana sempre in cerca di nuove vacche grasse.
Indice forse di una multiculturalità oramai imprescindibile dal gusto attuale del pubblico, che grazie al web ha allargato l'orizzonte verso nuovi fenomeni di massa?
Fatto sta che l'occidente ha ormai da tempo abbracciato la 'moda' degli eroi cinematografici americani tratti da fumetti e videogiochi, spesso derivanti in qualche modo dal Paese del Sol Levante ma mediati dall'onnipresente occhio di Hollywood.
Il franchise di Transformers è diventato, insomma, alla pari di tanti altri, una spietata macchina mangia-soldi apparentemente basata su concetti semplici e strategie di mercato ben consolidate. Eppure, riesce ancora a stupire il suo pubblico e far discutere la critica. Perché?
Forse anche in virtù della gente che ci lavora sopra: quale altro film vanta tra i suoi realizzatori tre dei più importanti fautori del cinema americano moderno quali Michael Bay (regista), James Cameron (consulente al 3D) e Steven Spielberg (produttore esecutivo)?
Storicamente, inoltre, il terzo episodio di una saga risulta il più debole: in questo caso, invece assistiamo ad una vera e propria resurrezione, che permette al suo regista di spingere molto oltre rispetto al suo solito.
Si è parlato tanto dell'abbandono di Megan Fox al progetto, dopo due film che le hanno dato una notorietà mondiale messa poi ampiamente in discussione da una carriera altrimenti fallimentare.
Non torneremo su quanto già detto, ma è curioso notare come Bay e lo sceneggiatore Ehren Kruger abbiano risolto la questione, filmicamente parlando: solitamente una cosa del genere lascia ampi e palesi buchi in sceneggiatura, finendo per peggiorare la qualità della sceneggiatura stessa. L'assenza della Fox ha invece allargato gli orizzonti della narrazione, inserendo un personaggio (Carley, interpretato dalla modella Rosie Huntington-Whiteley) che fa -ed è- tutto quello che avrebbe dovuto fare ed essere Mikaela, senza che se ne senta assolutamente la mancanza. I riferimenti alla co-protagonista dei primi due film non mancano, ma la tirano in ballo in modo spesso sarcastico e maldicente, insinuando il dubbio-certezza che le frecciatine non siano dirette tanto al personaggio quanto all'interprete originale.
Non sempre 'Optimus'
Un franchise affermato, ma discusso, dicevamo. Dopo un bel primo capitolo (non esente, comunque, da difetti) Bay ha confezionato un secondo episodio di grande successo, ma che ha attirato su di sé molte critiche, principalmente per l'inconsistenza narrativa e la lungaggine delle scene d'azione, spesso troppo concitate per poter essere gustate in tutta coscienza. Lo stesso Shia LaBeouf ha in queste ultime ore ammesso che molti dialoghi sono stati improvvisati, perché il copione non era pronto al momento delle riprese (come del resto rivelatoci dallo stesso produttore Lorenzo di Bonaventura in questa recente intervista). Ad ogni modo, gli sceneggiatori di fiducia di Bay, Roberto Orci e Alex Kurtzman, hanno preferito evitare di lavorare al terzo episodio, cosicché lo screenplay di questo Dark of the moon è stato scritto da Ehren Kruger, con buoni risultati.
Il lato oscuro della Luna
Gli anni passano. Abbiamo conosciuto Sam (Shia LaBeouf) quando era ancora un liceale, lo abbiamo poi visto alle prese col college, ma ora che è un uomo, e dopo aver di fatto salvato il mondo due volte, il nostro 'eroe per caso' si ritrova alle prese con la ricerca di un posto di lavoro fisso e ben retribuito. Ma la crisi non conosce eroi: neanche per qualcuno insignito di una medaglia presidenziale c'è un posto più dignitoso che nell'ufficio di smistamento posta di una grande azienda. Svilito e poco soddisfatto, trova consolazione nell'incantevole nuova fidanzata Carly (Rosie Huntington-Whiteley) con cui divide un appartamento, lontano dagli echi di battaglie passate e presenti. Gli Autobot difatti ora lavorano per il Governo e le Nazioni Unite, fungendo da deterrenti ai conflitti territoriali in giro per il mondo.
Ma la pace è solo apparente: Autobot e Decepticon presto scopriranno che Sentinel Prime, grande scienziato e precedente leader degli Autobot, durante la loro guerra è ammarato sul lato oscuro della Luna, insieme ad una incredibile tecnologia dalle infinite potenzialità. Chi se ne impossesserà avrà fra le mani un potere quasi illimitato: verrà forse il giorno della restaurazione al potere di Megatron?
La recensione continua a pagina 2!
Retrocontinuity e lingerie
Il retcon storico sembra stia diventando la nuova moda del cinema fantastico: dopo X-Men: L'inizio e Paul, ecco un nuovo film che prende spunti di storia reale recente piegandoli ai favori della sceneggiatura. E, ancora una volta, questi eventi vanno a collocarsi negli anni '60, mostrandoci un JFK in mezzo a complotti di stampo supereroistico/fantascientifico. La corsa allo spazio degli anni '60, fortemente sostenuta da Kennedy, sarebbe infatti stata suscitata dalla scoperta di attività aliena sulla Luna: uno stratagemma perfettamente funzionale alla costruzione di una sceneggiatura di genere, e che permette a Bay di alternare filmati di repertorio con immagini moderne appositamente saturate per dare l'impressione di esser d'epoca (e fa veramente strano vedere un film all'avanguardia della tecnica cercare di fare il verso ai filmini amatoriali di decine di anni fa!).
Il tutto si risolve in un mero pretesto, chiaramente: nonostante l'impianto della prima metà del film sia più volto all'intrigo che all'azione, la drammaticità del tutto è mitigata da umorismo e combattimenti, come del resto ci si poteva aspettare. Si tratta di un intrigo, per quanto in realtà semplice e prevedibile, assai funzionale e piacevole, che peraltro ben presenta personaggi e parti in causa. Inoltre, con grande sollievo di quanti avessero odiato l'umorismo puerile del secondo capitolo, le (seppur numerose) scene di commedia sono all'incirca sul livello di quelle del primo episodio, senza eccessive cadute di stile. Certo, non si tratta di un umorismo raffinato, ma ci si può accontentare. Quello che non è cambiato è l'approccio nei confronti delle grazie femminili della protagonista, come sempre ritratte da Bay con la maestria che gli ha valso, l'anno scorso, il diritto di dirigere un famoso spot di Victoria's Secret. Dopo l'incipit storico, difatti, Bay ci catapulta subitamente 'in medias res' in una maniera che dire efficace è poco (e non aggiungeremo di più per non togliere il 'gusto' della scoperta al pubblico maschile!). Trattasi di una visione forse un po' maschilista dei personaggi femminili? Il dibattito è aperto.
Tutti insieme appassionatamente
All'interno del film ritroviamo un cast variegato, fatto di vecchie conoscenze e nuovi acquisti.
LaBeouf, innanzitutto, è palesemente migliorato nel corso degli anni e di episodio in episodio: difficile immaginare un eventuale (e tutto sommato probabile) Transformers 4 senza la sua presenza, come da lui tuttavia preannunciato. Tra le vecchie conoscenze ritroviamo anche Josh Duhamel, Tyrese Gibson e John Turturro, più in forma che mai e a cui viene dato solo il giusto spazio (a Turturro in particolare, che ha all'attivo battute decisamente migliori e meno irritanti dei precedenti due episodi), oltre a Kevin Dunn e Julie White, buffi interpreti dei genitori di Sam. Ritroviamo, stavolta a dare la voce a Sentinel Prime, Leonard Nimoy, mentre singolari sono i camei di John Malkovich, eccentrico capoufficio di Sam, di Frances McDormand, rigida Direttrice della Sicurezza Nazionale, dell'eclettico Ken Jeong di Una notte da leoni e addirittura dell'astronauta Buzz Aldrin, volto a dare maggior credibilità alla teoria d'inizio film (particolare curioso vista la quantità di teorie del complotto in cui Aldrin è stato, suo malgrado, coinvolto nel corso degli anni).
Ambiguo e giustamente detestabile il ruolo di Patrick Dempsey, nei panni di Dylan Gould, superiore di Carley con la passione delle auto da corsa ed un oscuro passato familiare alle spalle.
Infine, pollice su per la Huntington-Whiteley, che temevano una bambolina senz'anima e invece se la cava discretamente: non è facile per nessuno recitare su green screen, tanto meno per una modella. L'unico 'appunto' è forse l'eccessiva bellezza, che nel contesto della guerriglia urbana stona un po'. Un'attrice comunque bella, ma più 'da porta accanto', quali Amber Heard o Ashley Green (inizialmente considerate dagli studios insieme a Gemma Arterton per sostituire la Fox) sarebbe stata forse più credibile nel contesto.
More than meets the eyes
Al di là di tutto, però, la motivazione principale per visionare il film rimane la solita: tanti robottoni che se le danno di santa ragione grazie ad alcuni degli effetti speciali più avanzati di sempre.
Se già la Industrial Light & Magic era riuscita a fare miracoli col primo film, esponenzialmente moltiplicati nel secondo, con questo terzo episodio siamo davanti ad un'eccellenza tecnica mai vista prima, e non lo diciamo alla leggera. La commistione tra riprese con attori dal vivo e CGI raggiunge punte di incredibile realismo, accentuate dall'assurdo quantitativo di dettagli di scenari e, soprattutto, personaggi in computer grafica. La qualità del mecha design è difatti indiscutibile, e il nuovo approccio al montaggio e alla realizzazione delle scene d'azione (non più convulse e quasi incomprensibili come in passato) giova parecchio all'occhio dello spettatore, che finalmente può apprezzare i robot come giustamente meritano.
Bay ha difatti preso atto delle critiche al secondo episodio e ha approfittato dei limiti tecnici del 3D per creare scene d'azione particolareggiate e cadenzate, che non rinunciano mai al lato spettacolare ma cercano di trarre vantaggio anche da un potenziale handicap. Inizialmente osteggiato dallo stesso regista, dopo il corretto indirizzamento da parte di 'sua maestà in tre dimensioni' James Cameron, Bay ha saputo creare forse il miglior 3D visto finora al cinema, potenziando l'azione e la visione riuscendo nell'improba impresa di non far capitolare lo spettatore dopo poche decine di minuti. Alternando sapientemente riprese in 3D nativo realizzato tramite le più avanzate tecnologie del settore e scene post prodotte in tre dimensioni, il regista americano immerge letteralmente il suo spettatore nella scena, non limitandosi ad una fiera del pop-up ma rendendo quasi tangibili ambienti e personaggi, con i Transformers resi quasi reali (ma questo dipenderà anche dallo schermo del cinema: l'IMAX si prospetta, dunque, come la scelta migliore).
Alcune sequenze, inoltre, sono assolutamente all'avanguardia e lasciano in più casi senza fiato, come la ormai nota sequenza dei SEAL in volo su Chicago con le tute alari in pieno attacco Decepticon, o l'emozionante sequenza del grattacielo sotto attacco.
Certe scene non hanno precedenti e mostrano, quindi, una tecnica mai sperimentata prima, andata a perfezionarsi 'in divenire' e che sembra aver risolto, tramite anche alcuni accorgimenti, diversi annosi problemi della visione 3D. In primis, naturalmente, luminosità e velocità di aggiornamento dell'immagine, da sempre cruccio principale del mezzo e potenziale grosso problema per un film come questo, che vive di scene concitate. Ebbene, l'aver scelto di razionalizzare l'approccio all'azione, come accennato prima, non solo ha giovato alla qualità dell'immagine, ma anche allo stile del regista californiano. E non è cosa da poco.
Nel bene e nel male, Bay firma il nuovo manifesto del cinema d'azione americano. La vera apoteosi del pop-corn movie, che potete anche tacciare di essere 'solo' botti&botte, belle donne, inseguimenti e computer grafica, oltretutto imbevuti di palese retorica nazionalista. Eppure è uno spettacolo che (a differenza dell'interminabile e a tratti irritante secondo episodio) non annoia mai e a tratti esalta, essendo confezionato con cura e con i migliori mezzi possibili. La storia, per quanto semplice, farà contenti tutti, andando a ricordare molto le serie animate originali, e gli interpreti sono ben sfruttati. L'atmosfera e l'epicità, ben sottolineati dalla colonna sonora ad opera di Steve Jablonsky e degli immancabili Linkin Park, non mancano, e il film meriterebbe la visione anche solo per il primo 3D davvero ben sfruttato della storia del cinema, in grado - tra l'altro - di migliorare e non peggiorare lo stile di un regista. Di un regista come Bay, oltretutto.