Recensione Tokyo Fist

Tsukamoto tra violenza e alienazione

Recensione Tokyo Fist
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"In Giappone non esiste violenza nella vita quotidiana. I film americani sono violenti e realistici perché in America un ragazzino può benissimo prendere una pistola, andare a scuola e sparare ai compagni. Questo non accade in Giappone dove la violenza è sistematicamente rimossa.Gli impiegati giapponesi si alzano alla mattina, salgono su un treno affollatissimo, viaggiano schiacciati uno all'altro. Vanno in ufficio e si inchinano al capo per otto, dieci ore. Poi tornano a casa e si inchinano alla moglie. Ora dopo ora, accumulano un'incredibile quantità di rabbia, eppure la loro violenza è sempre trattenuta. Solo il dolore ci rende coscienti di avere un corpo" (Shinya Tsukamoto)Tsuda (Shinya Tsukamoto) è sposato con Hizguru (Kaori Fujii), ma la loro relazione è ormai vittima della noia e della monotonia. Un giorno l'uomo incontra Kojima (Kôji Tsukamoto) un suo vecchio compagno di liceo, divenuto un boxer professionista. Ben presto Kojima comincia a insinuarsi nelle loro vite, cercando anche di sedurre Hizguru. Venuto a conoscenza delle avanches dell'amico, Tsuda comincia a diventare sospettoso e assillante verso la compagna, che, nel frattempo, ha svillupato un'ossessionante e morbosa attrazione verso piercing e tatuaggi, arrivando a martoriare il proprio corpo. Quando la donna si reca infine a vivere con Kojima, Tsuda medita vendetta e comincia ad allennarsi come un forsennato nella boxe per riprendere ciò che gli appartiene. Nel 1995, dopo i due Tetsuo, Shinya Tsukamoto torna ad esplorare il corpo con Tokyo Fist, considerato da buona parte della critica come una delle sue opere più riuscite. Questa volta il geniale regista tuttofare giapponese, si concentra su una fase più morbosamente realistica e, proprio per questo, ancora più inquietante, il tutto in una Tokyo opprimente e cupa che annichilisce le personalità.

Tokyo scatenata

L'uomo è vittima. Vittima dei propri sbagli, delle proprie paure. Dell'impossibilità di essere felice, di comprendere appieno la propria essenza e quella delle persone più care. Se in Tetsuo era la dicotomia uomo-macchina a manifestare l'inquietudine insità in una società schiacciante, qui è il rapporto col proprio corpo, in una via dal sapore cronenberghiano, a fare da filo conduttore a questa storia cyberpunk, in cui boxe, violenza e vendetta si fondono all'unisono raggiungendo vette esasperate e disturbanti, in un vortice di violenza, fisica e interiore, capace di esplodere dirompente sullo schermo. Il dramma, perché di dramma, per quanto grottesco e trasmutato si tratti, ruggisce prepotente in Tokyo Fist, capace di mostrarci il Tsukamoto più intimista, ma al contempo di lasciare il via libera alla sua vena visionaria ed estrema, con alcune sequenze culto in cui il sangue e la deformazione corporea raggiungono picchi di elevata, macabra, poesia. La trasformazione che assale inesorabilmente in tre protagonisti, a suo modo diversa ma simile negli intenti, è una cercata via di liberazione dai canoni imposti dal pensiero comune, da una massa incapace di risollevarsi dalla noia quotidiana, schiavi di una metropoli con le proprie regole e le proprie leggi. Il dolore come via di uscita da una non-vita, narrato dal regista (qui anche, intenso, protagonista) senza sconti sul gore più estremo, senza freni inibitori in un cinema fortemente suo, nel quale le diversità perdono valore, alla ricerca di un nuovo percorso nel quale identificarsi, non importa quando crudele od effimero. In tutto questo decomporsi del corpo, come anima e come involucro, Tsukamoto non lesina una certa dose di humour nero, che finisce per rendere ancora più ironicamente amara una storia di sangue e amore.

Tokyo Fist La fuga dall'apatia della metropoli trova ragione nella violenza: sia quella masochistica, o quella canonica, per Tsukamoto non vi è altra scelta. L'uomo per divenire libero ha bisogno di una svolta, per quanto estrema sia. Tra eccessi gore e intricate divagazioni interiori, Tokyo Fist è un'opera disturbante e fascinosa, tassello fondamentale nella filmografia dell'autore.

8

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