Prima che possiate fiondarvi a leggere il voto e trarre conclusioni affrettate è giusto chiarire una cosa, in modo da evitare spiacevoli equivoci. Thor: Ragnarok fa esattamente ciò che si è prefissato di fare, ovvero intrattiene con gusto e tonnellate di ironia, anche perché mancare l'obiettivo avrebbe reso il voto insufficiente. Ci sono però diversi nodi da sciogliere, aspetti che potevano essere sviluppati meglio, ed è per questo che esistono le recensioni. Partiamo da lontano, dalle origini: nella mitologia norrena, la parola Ragnarok indica senza mezzi termini la battaglia finale fra la luce e l'oscurità, l'ordine opposto al caos. In seguito a questa tremenda profezia, il destino del mondo e quindi di Asgard è segnato. Viste queste premesse, ci si poteva immaginare un terzo film monografico su Thor - nell'attuale linea temporale del Marvel Cinematic Universe - estremamente dark, da vedere senza respiro, dalle sfumature cupe e opprimenti. Gli Studios di Kevin Feige invece hanno scelto una strada che, almeno sulla carta, aveva davvero grandi potenzialità: una soluzione che mescolasse malinconia e violenza a momenti più leggeri, quasi comici, per rendere il film il più gradevole possibile (dopo l'esperienza di The Dark World). Thor: Ragnarok è esattamente questo, un mix di umori e sentimenti che si seguono e si inseguono su ogni fronte, un vortice di contrasti che prende vita grazie ai personaggi, alle ambientazioni e alle situazioni.
L'ingiusto equilibrio
Una miscela esplosiva che, esattamente come hanno dimostrato i Guardiani della Galassia, può funzionare a meraviglia, creando degli Instant Cult. È però fondamentale che comico e tragico siano bilanciati a dovere, i tre sceneggiatori Eric Pearson, Craig Kyle e Christopher Yost invece hanno avuto più di un problema da questo punto di vista. Esattamente come Hulk può sopraffare l'inerme Bruce Banner, il lato comico di questo Ragnarok ha preso il sopravvento sulla sua controparte drammatica, abbassando il livello qualitativo dell'opera. Questo ovviamente non significa che l'ironia marcata di questo capitolo non funzioni in nessuna delle sue sfumature; le battute e le situazioni in cui si ride di gusto si contano senza fatica, il problema arriva quando la comicità perde il controllo e diventa forzata, superflua, quasi inutile. Appena il discorso inizia a tendere la mano al tragico, arriva qualcosa di ridicolo che smorza i toni e rigetta tutto nel caos. Questo difficilmente accade ai due film (soprattutto al primo) dei Guardiani della Galassia - che riprendiamo ancora come esempio poiché sembra che proprio a questi Ragnarok si sia ispirato - durante i quali l'ironia viene sempre usata con intelligenza da James Gunn.
Tutti per uno, uno per Asgard
Il delirio di comicità voluto dagli sceneggiatori di Ragnarok, due dei quali hanno scritto anche Thor: The Dark World, ha sopraffatto le fondamenta di un progetto che avrebbe potuto essere epico in ogni suo aspetto. A conferma di questo arriva l'ultima mezz'ora del film, che fa i conti con tutte le questioni aperte in precedenza e mette in scena una battaglia degna dei soldi del biglietto sborsati. Si arriva all'epilogo con un Thor più maturo, più consapevole dei suoi poteri, poiché l'Apocalisse lo mette di fronte alla sua sfida più grande: comprendere chi è davvero e cosa si porta dentro. Lo stesso accade a Hulk, dapprima stupido, ridicolo e cieco all'estremo, poi determinato e lucido; una pedina fondamentale per lo stesso Thor e gli Asgardiani. Asgardiani che, ovviamente senza addentrarci troppo nella questione per non fare spoiler, guadagnano un ruolo fondamentale all'interno della storia, poetico e interessante. Tutto questo grazie al condottiero nell'ombra Heimdall, fascinoso e oscuro, un servitore fedele senza il quale Thor avrebbe metà delle sue potenzialità (o quasi). Questo ci porta a parlare dell'ottima prova di Idris Elba, che bloccato ad Asgard e lontano dal caotico pianeta Sakaar porta a segno un'interpretazione eccellente. Con un pizzico di cattiveria in più avremmo potuto dire la medesima cosa del Gran Maestro Jeff Goldblum, incastrato invece in un ruolo da cinepanettone o quasi (chissà che le prossime vacanze di Natale non siano proprio su Sakaar).
Dea della Morte noi ti veneriamo
A ristabilire l'universo, per nostra fortuna, ci pensa una Cate Blanchett in grazia divina - e non solo perché interpreta la Dea della Morte Hela. La sua "consumata" bellezza lascia trapelare tutte le sofferenze patite dal suo personaggio in gioventù, una rinnegata costretta a vivere nell'oblio ora tornata a chiedere vendetta. Il suo enorme potere è in grado di sopraffare persino Thor e il suo martello, è l'unica in grado di poter sbriciolare il Mjöllnir qualora finisse fra le sue mani. Tutta questa forza mista alla giusta cattiveria fanno di Hela un villain con tutte le carte in regola, motivo che costringe Thor ad abbandonare il proprio ego e a costruire una squadra (poi non dite che pensiamo sempre ai Guardiani). Accanto al Dio del Tuono ritroviamo così una Tessa Thompson perfetta nel suo ruolo, un character desideroso di vendetta tanto quanto l'antagonista Hela. Quando si parla di personaggi dunque, Thor: Ragnarok ha da giocare buone carte, sia per quanto riguarda l'eccellente cast (come abbiamo appena visto), sia dal punto di vista dei contenuti. Ogni pedina del puzzle compie un determinato percorso, persino Skurge/Karl Urban avrà i suoi alti e bassi, sempre in bilico fra bene e male. E cosa dire di Loki/Tom Hiddleston, un uomo al confine fra caricatura e realtà, con l'inganno costantemente in canna e la doppia faccia di un ladruncolo di paese qualsiasi.
I Guardiani di Asgard
I Guardiani di Asgard, chiamiamoli scherzosamente così, sanno indubbiamente fare il loro lavoro e faranno trascorrere i 130 minuti di visione in modo abbastanza naturale, anche se qualche minuto probabilmente si sarebbe potuto tagliare. Questo almeno nella parte centrale, dove la narrazione diventa in parte ridondante e superflua, priva di spunti brillanti. Come ormai avrete capito, le nostre "ire" sono rivolte soprattutto alla sceneggiatura, che non è stata in grado di mettere a fuoco il vero fine del film e di approfittare della comicità in modo intelligente. Anche il regista Taika Waititi ha le sue buone responsabilità in questo, reo di una direzione senza particolari guizzi degni di nota. Persino il comparto degli effetti visivi è stato "contagiato", come la sceneggiatura, da questa grave forma di morbillo artistico: ci sono alcune sequenze e personaggi realizzati ottimamente (come il temibile Surtur), opposti a momenti con difetti visibili e green screen di dubbia qualità. Del tutto schizofrenica anche la colonna sonora, che mescola l'energia dei Led Zeppelin alle partiture orchestrali rielaborate dai precedenti film di Thor firmate Patrick Doyle e Brian Tyler, fino ad arrivare al delirio elettronico di Mark Mothersbaugh.
Sembra dunque che il Dio del Tuono del Marvel Cinematic Universe sia schiavo di una sorta di maledizione. I suoi film monografici fanno una fatica immane a spiccare il volo, magari riescono a intrattenere e divertire (come del resto fa questo Ragnarok), ma anche a soffrire di problemi di scrittura piuttosto evidenti. In questo caso si ha difficoltà a rimanere focalizzati sul nodo cruciale della storia e ci si perde in dettagli spesso ridondanti e superflui. Il fastidio più grande però arriva dalla vena comica del progetto, che ha sopraffatto con forza gli ottimi venti di guerra che soffiavano su Asgard. Il bilanciamento chirurgico visto con i Guardiani della Galassia, per quanto riguarda i toni, in Thor: Ragnarok è venuto totalmente a mancare e questo ha determinato un calo generale del valore dell'opera. Un peccato alla luce degli ottimi personaggi, caratterizzati per gran parte in maniera eccellente. Tutti, o quasi, compiono un percorso di accettazione e di crescita: i figli smettono di dipendere dai genitori, i Bruce Banner riescono a dominare gli Hulk, mentre i tempi per le vendette personali si fanno maturi. Chi ha voglia di ridere, di prendere ciò che accade sullo schermo poco sul serio, uscirà dalla sala soddisfatto, chi invece cerca qualcosa di più oltre la risata spicciola dovrà scavare per trovare qualcosa di buono.