Recensione The Wolf of Wall Street

Leonardo DiCaprio e Martin Scorsese insieme per la quinta volta per raccontare ascesa e declino dello sfrenato Jordan Belfort

Recensione The Wolf of Wall Street
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“Lasciate che vi dica una cosa. Non c'è nobiltà nella povertà. Sono stato un uomo povero, e sono stato un uomo ricco. E scelgo di essere ricco tutta la vita, dannazione!”
La quantità di citazioni ad effetto presenti nel ventiquattresimo lungometraggio per il grande schermo di Martin Scorsese sono tante e memorabili, tutte con un fondo di verità. The Wolf of Wall Street è una vera e propria smitragliata di scene topiche che colpisce duro lo spettatore, trascinandolo in un vortice di autodistruttivi eccessi senza freno nell'atto di raccontare un'esistenza davvero “larger than life”. Un film che ha fatto molto parlare di sé ben prima della sua uscita nelle sale, sia nella somma delle sue singole parti che nel particolare. Anzi, probabilmente un film di Scorsese non accendeva gli animi del pubblico a questi livelli perlomeno dai tempi di Gangs of New York (2002), per non dire quelli de L'ultima tentazione di Cristo (1988). Insomma, dopo l'inframezzo “per ragazzi” del trasognato Hugo Cabret (2011) ecco un altro pugno nello stomaco targato Scorsese.

Fugazi

The Wolf of Wall Street racconta vita, “morte” e miracoli di Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio), broker di belle speranze che, grazie ad un fiuto imprenditoriale e a un carisma fuori scala, diventa negli anni '90 un magnate della finanza, guadagnando decine di milioni di dollari senza sforzo apparente e conducendo una vita sfrenata il cui unico limite è il cielo. Tratto dall'omonima autobiografia di Belfort, il film di Scorsese narra i dieci anni “da lupo” dell'imprenditore, 'battezzato' all'alta finanza proprio nel cosiddetto lunedì nero di Wall Street occorso nel 1987. Belfort ha talento, ma sembra non avere possibilità in un mondo di squali come quello. Almeno finché non mette in piedi una società dedita al commercio di Penny Stock che, con metodi di vendita aggressivi e fraudolenti, conquista letteralmente il mercato centuplicando le rendite e creando un vero e proprio impero dal nulla, trasformando Belfort e i suoi impiegati in multimilionari viziati e arroganti. Almeno fino a quando l'ambizioso castello di carte non comincerà a barcollare...

"Non morirò da sobrio"

Impossibile non rimarcare come The Wolf of Wall Street segni la quinta collaborazione di seguito (escludendo la parentesi del già citato Hugo Cabret) tra uno dei più grandi registi viventi e uno degli interpreti più significativi e a suo modo importanti degli ultimi vent'anni. Quel belloccio su cui inizialmente si concentrano le antipatie di chi è sempre pronto a sparare a zero ma che, alla fine, nonostante la ritrosia dell'Academy nei suoi confronti, ha inanellato collaborazioni importanti e ruoli assolutamente memorabili. Quel DiCaprio che, inoltre, negli ultimi anni ha fatto incetta di personaggi multisfaccettati e sopra le righe. Gli ultimi tre, del resto, sono anche degli stravaganti ricconi, che vanno a braccetto, volendo, con l'Howard Hughes di The Aviator, che proprio dieci anni prima era stato portato al cinema dall'accoppiata Scorsese/DiCaprio. Il confronto è inevitabile, pur con le dovute differenze. Certo, il personaggio di Hughes era più sofferto, castrato nei suoi sogni dal fatto che i soldi non garantiscono la felicità e dal fatto che istituzioni e persone a lui accanto non riuscivano a stargli al passo. Ma The Aviator era anche un film più misurato, la triste favola morale di un Icaro moderno che tutto sommato condivide poco con l'ultima incarnazione scorsesiana, fatta di eccessi fini a sé stessi che mostrano tutto il peggio dell'avidità umana. E a quel punto la mente vola a Wall Street di Oliver Stone, senza dubbio. Un film più sobrio, che ci racconta una storia simile ma con uno stile ben diverso, nonostante i personaggi di Bud Fox/Gordon Gekko e Jordan Belfort abbiano molto in comune.

Vendimi questa penna

Ma, alla fine, The Wolf of Wall Street non vuole essere un film sulle insidie del mondo dell'alta finanza. Belfort avrebbe potuto essere il più grande calciatore del mondo, il proprietario di una catena di alberghi di lusso, un tycoon delle telecomunicazioni, un Primo Ministro o una rockstar. Provvede la voce fuoricampo del protagonista a cavarci d'impaccio quando il gergo economico comincia a diventare ostico e poco familiare al grande pubblico, informandoci che non ci occorre sapere o capire cosa siano i Penny Stock o una boiler room per comprendere il senso del film. Noi dobbiamo seguire il protagonista nel suo viaggio dantesco: il mezzo non conta, conta solo il fine... ovvero diventare ricchi. E Scorsese non ci risparmia niente, con ben poca necessità di romanzare fatti che, già nella realtà, assunsero toni farseschi trasformando i suoi protagonisti da falliti a ricconi, con tutte le conseguenze del caso (e, nello specifico, il fatto che i soldi cambiano le persone, ad ogni modo, o meglio, ne mettono in mostra i lati peggiori). Di suo, comunque, il grande cineasta italoamericano inserisce inconfondibili sprazzi di grandeur e qualche spiazzante inserto di metacinema (in special modo nell'ultima parte). La “confezione” del film è dunque accattivante, ma quello che colpisce è sicuramente il cast del film, che raggiunge livelli altissimi (DiCaprio in primis, sebbene ormai non sia una novità e in Django Unchained sia stato superiore) e, a volte, inaspettati. Jonah Hill, ad esempio, è una spalla eccellente per DiCaprio, mentre Margot Robbie, oltre ad essere incredibilmente sexy, è anche molto espressiva, tutt'altro che una bambolona senz'anima. Ma nel film troviamo anche Rob Reiner, Jon Favreau, Spike Jonze, Jean Dujardin, Kyle Chandler... tanti volti noti in parti cucite loro addosso. E poi c'è lui, Matthew McConaughey, che oltre al Premio Oscar da protagonista in Dallas Buyers Club ne avrebbe meritato uno come non protagonista anche solo per la manciata di minuti che ci regala a inizio film, tra il “fugazi” e il gesto d'incitamento scimmiesco che, per quanto improvvisato, rappresenta forse il senso del film.

The Wolf of Wall Street The Wolf of Wall Street è come il suo protagonista: geniale, sfrenato, creativo, eccessivo, irresistibile. Alla fine della giostra, tuttavia, cosa rimane, oltre a un talentuoso bad boy che si salva in corner (senza meritarlo, peraltro: ma non sta a noi dare giudizi morali in merito)? A dirla tutta, il film è accattivante, divertente, irriverente e anche tristemente vero: cade però a volte nel peccato (che sia veniale o meno, dipende dallo spettatore) di essere ridondante per reiterare meglio il suo messaggio. Probabilmente si potevano dire le stesse cose senza doverla tirare per le lunghe per tre ore, ma del resto chi siamo noi per porre limiti a uno come Martin Scorsese?

7.5

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