Recensione The Water Diviner

Russell Crowe interpreta e dirige la storia di un padre alla ricerca dei tre figli inghiottiti dagli orrori della Guerra

Recensione The Water Diviner
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1919, Mallee (Australia). Joshua Connor (Russell Crowe) vive nella campagna australiana lavorando come rabdomante (da qui il titolo del film The Water Diviner); numerose infatti sono le fonti d'acqua scoperte dall'uomo grazie ai suoi ‘poteri sensoriali'. Eppure, perfino quella speciale dote sembra oramai del tutto inutile, dal momento che i suoi tre figli non ci sono più, inghiottiti quattro anni prima - come tantissimi altri loro coetanei - nella battaglia di Gallipoli e dagli orrori della Grande Guerra. Esistenze interrotte esattamente come quella della moglie di Joshua, incapace di accettare la scomparsa della prole e precipitata di conseguenza in un tragico rifiuto della realtà. Dopo l'ennesima tragedia abbattutasi sulla sua famiglia, Joshua deciderà dunque di partire alla volta di Gallipoli per ricondurre a casa ciò che resta di quei suoi tre figli maschi, di cui ancora riecheggiano le risate attorno alla fantasia de Le mille e una notte e quella speciale solidarietà fraterna in virtù della quale quattro anni prima decisero tutti insieme di arruolarsi nell'ANZAC (Australian and New Zealand Army Corps). Un amore e una solidarietà che in ogni caso non sono riusciti a strapparli al destino sanguinoso e ineluttabile della guerra. Con l'obiettivo di raggiungere la non facile meta di Gallipoli, Joshua si fermerà a Costantinopoli, dove soggiornerà nell'albergo gestito dalla bella e seducente Ayshe (Olga Kurylenko) e stringerà una tenera amicizia con il piccolo figlio della donna. Poi il viaggio del rabdomante proseguirà per Gallipoli, terra sconsacrata di sangue e morti senza nome, dove incontrerà l'eroe di guerra turco Hasan. Sarà proprio con questo ex-nemico, forse reale colpevole della sofferenza inflitta ai suoi figli, che Joshua stringerà un singolare legame e si confronterà, trasformando quel viaggio in una sentita riflessione sui conflitti e sulla loro capacità di azzerare le differenze geografiche e sociali tra uomini nonché di sospendere ogni forma di umanità.

Le mille e una... guerra

Alla sua prima prova dietro la macchina da presa Russell Crowe sceglie un soggetto ricco di tematiche e di sfaccettature concettuali che ispirandosi a una storia vera percorre il sentiero della riabilitazione del post-guerra che avviene attraverso il viaggio di un padre alla ricerca (disperata) dei figli perduti. Ma è anche un confronto tra culture diverse che trovano una loro contaminazione trasversale, con quella australiana che sogna attraverso il tappeto magico delle Arabian Nights e quella turca che si esalta di fronte alla novità di una mazza da cricket. Crowe realizza un film fortemente sentito, partecipato, dove la storia di un padre partito per ricondurre a casa i suoi tre figli perduti diventa parabola esistenziale per riflettere sulla brutalità della guerra ma anche sul potere riscattante del perdono, dell'amore, talvolta capace di andare oltre le più insensate ma istintive ostilità che spesso animano i conflitti umani. Un'operazione assai simile a quella fatta da Jonathan Teplitzky con Le due vie del destino, in cui al protagonista Eric (Colin Firth) toccava fare i conti con un trauma post-conflitto mai lenito. Anche qui, come in quel caso, coesistono nell'opera due dimensioni: quella del confronto diretto con l'orrore del conflitto, e quella della forza casuale (ma neanche troppo) e riconciliatrice dell'amore. Esattamente come nel lavoro sopracitato il focus sulla guerra, sulle distorsioni che provoca e sul tentativo di venirne poi a capo attraverso il perdono, restano senza dubbio il motore nonché il tratto più convincente di quest'opera prima. Un'opera, di contro, generalmente ostacolata nel suo intento narrativo dall'utilizzo di una struttura fin troppo classica e troppo miscellanea che sembra mescolare insieme più di un film. E, infatti, se da un lato si muove, commovente, il resoconto appassionato dell'amore paterno, dall'altra si contrappone la cornice più patinata di un incontro/scontro tra culture che viene infine suggellato dal leit motiv di un tonalità rosea giunta a smorzare (in corner e un po' troppo forzatamente) la crudezza (ma anche la sincerità) del dramma umano di The Water Diviner.

The Water Diviner Russell Crowe debutta alla regia con The Water Diviner, film sincero e profondamente sentito sugli orrori della Grande Guerra (qui si parla - nello specifico - delle enormi e giovanissime perdite umane inflitte dalla battaglia di Gallipoli) e sulla necessità di un riscatto umano, di una riabilitazione dai fiumi di sangue e dalla morte della Guerra, e che spesso passa attraverso la capacità di perdono. Un film, come dicevamo, molto sentito che se da un lato mostra la grande sensibilità di Crowe rispetto al tema trattato, dall’altro mette in luce anche le molte pecche di un’opera (prima) che forse il regista non ha saputo equilibrare al meglio per via del profondo legame instaurato con la storia. In ogni caso, una bella sensibilità registica che se meglio calibrata potrebbe riservare interessanti sorprese nel futuro registico di Russell Crowe.

6

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