Recensione The Tribe

Myroslav Slaboshpytskiy porta sul grande schermo uno spietato racconto di formazione che è anche un'acuta riflessione sulla violenza come modus vivendi e sulla crudeltà istintuale nascosta in certe dinamiche di gruppo.

Recensione The Tribe
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Il linguaggio verbale, ovvero il veicolo di comunicazione privilegiato dell'essere umano: la modalità più efficace e immediata di espressione del sé e di interazione con l'altro, nonché il codice in grado di regolare tutte (o quasi) le nostre dinamiche sociali. Cosa accadrebbe, però, se il linguaggio dovesse venir meno? Come ci apparirebbero le nostre azioni in un mondo immerso nel silenzio, in cui è la gestualità a ‘giustificare' se stessa, mostrandosi così nella sua più limpida verità? È l'assunto di partenza sul quale Myroslav Slaboshpytskiy, regista ucraino già autore di diversi cortometraggi, ha sviluppato il suo film d'esordio, The Tribe, presentato con successo al Festival di Cannes 2014 alla Settimana Internazionale della Critica e vincitore dello European Film Award come miglior opera prima. Una pellicola di spiazzante durezza, interpretata interamente da attori sordomuti che si esprimono mediante il linguaggio dei segni, secondo un approccio di asciutto naturalismo che esclude qualunque suono extradiegetico a favore di una totale immersione, da parte dello spettatore, nell'universo narrativo dei personaggi.

ADDIO AL LINGUAGGIO

L'assenza di verbalità, tuttavia, non costituisce il tema portante di The Tribe, ma offre piuttosto a Slaboshpytskiy l'occasione di proporre un punto di vista che prescinda da ogni tipo di rielaborazione, di artificio retorico o di mascheramento attraverso le parole. In tal senso il protagonista Sergey (Grigory Fesenko), un adolescente ucraino appena ammesso in una scuola per sordomuti, ci viene mostrato più volte nella sua completa ‘nudità': metaforica, per la ruvida schiettezza dei rapporti di potere che si instaurano fra lui e gli altri allievi dell'istituto, ma anche letterale (in una delle prime sequenze del film Sergey è esortato dai suoi compagni a spogliarsi davanti a loro). Il corpo diventa pertanto l'unico strumento in grado di innescare i meccanismi della narrazione, ma pure l'unico mezzo per manifestare comportamenti e stati d'animo: dagli impulsi più brutali fino agli appassionati atti erotici consumati insieme ad Anna (Yana Novikova), una delle ragazze della scuola, costretta a prostituirsi con la complicità di alcuni dirigenti dell'istituto e con l'indisipensabile connivenza dei suoi coetanei (il corpo, dunque, anche come inesorabile oggetto di sfruttamento).

LA DURA LEGGE DELLA TRIBÙ

Fin dalle primissime immagini, l'occhio di Slaboshpytskiy si fissa dunque su questa "tribù" - quasi una variante del modello de Il signore delle mosche di William Golding - con sguardo da entomologo: la Steadicam segue i movimenti di Sergey e i suoi progressivi contatti con gli altri sordomuti dell'istituto, registrandone imperturbabile le complesse relazioni, i tentativi di sopraffazione gli uni verso gli altri, i rituali invariabilmente feroci per confermare o rovesciare le gerarchie già esistenti. Ed è proprio la freddezza implacabile della macchina da presa, fra cinéma vérité e un rigore alla Michael Haneke, a generare quel sottile ma palpabile senso di tensione che scorre per buona parte del racconto. Perché in fondo The Tribe, pur con qualche squilibrio sul piano della costruzione drammaturgica, ci riporta ad un cinema ‘fisico', viscerale e di spaventosa crudezza, talvolta ai limiti del sadismo (l'agghiacciante sequenza di un aborto ripreso con camera fissa, attimo per attimo) ma capace, nei suoi momenti più indovinati, di regalare allo spettatore suggestioni inedite e scene che restano a lungo scolpite nella memoria, incluso un finale a dir poco sconvolgente.

The Tribe Spietato racconto di formazione, ma anche acuta riflessione sulla violenza come modus vivendi e sulla crudeltà istintuale nascosta in certe dinamiche di gruppo, The Tribe costituisce uno dei più interessanti ed originali esordi del 2014: un’opera in cui la rinuncia al linguaggio verbale fornisce il viatico per un’esperienza cinematografica decisamente immersiva e dall'ambiguo, disturbante fascino.

7.5

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