Recensione The Salesman

Asghar Farhadi guarda negli occhi i suoi protagonisti e li rende protagonisti di The Salesman, dramma compatto e doloroso, che declina il concetto di vendetta e redenzione scivolando tra le righe di una delle opere teatrali più famose della storia.

Recensione The Salesman
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"Morte di un commesso viaggiatore" è uno dei drammi più importanti del teatro contemporaneo: affronta il conflitto familiare, critica il concetto di sogno americano e costringe a confrontarsi con la propria responsabilità morale, con cui ogni individuo prima o poi deve fare i conti. È una pièce teatrale di gran successo che di paese in paese arriva fino in Iran, dove ad interpretare Willy e Linda sono Emad e Rana, giovane coppia piena di speranze che resiste alle crepe della vita e alle piccole perdite che il destino le impone. Dopo che la loro casa viene dichiarata inagibile trovano un posto temporaneo in cui appoggiarsi, si sorridono e sorridono alla vita con ottimismo pensando al futuro di giorno e ripetendo la routine del teatro la sera, una prova dopo l'altra. Il male però suona alla loro porta, e Rama apre senza porsi problemi con una leggerezza che le costerà ferite nel corpo e nell'anima. Come reagire alla violenza? Come cercare di rimediare al dolore di tua moglie, violata e sofferente di fronte ai tuoi occhi? Emad tenta la via più logica, quella della polizia, ma di fronte alla vergogna di Rama finisce per cercare da solo la sua idea di giustizia, calpestando la sua morale arrivando a perdere tutto ciò che di più caro ha al mondo.

Il commesso viaggiatore

La metafora teatrale utilizzata da Asghar Farhadi scivola via dalla comprensione dello spettatore fino alle battute finali, in cui il parallelismo tra i due protagonisti sembra finalmente più chiaro. A colpire tuttavia di The Salesman non è tanto l'eleganza e la finezza del sottotesto, quanto l'incredibile umanità con cui ancora una volta il regista iraniano riesce a raccontare la propria realtà, di nuovo con straordinaria sensibilità dopo A Separation e The Past. Il passo a due di Emad e Rama è doloroso quanto profondo, e muove i suoi passi al ritmo di una vendetta che non ha identità, non ha un capro espiatorio. Emad lo cerca per tutto il film ossessivamente, sublimando in questo modo tutta la rabbia che prova - nei confronti dell'uomo che ha aggredito la moglie, nei confronti di lei e della sua indolenza, nei confronti di Babak che consigliandogli la casa ha causato tutto questo: perfino nei confronti di se stesso. Il senso di colpa lo divora fino ad esplodere in un colpo finale che girerà le carte in tavola e lo porterà troppo tardi a rendersi conto che la vendetta che ha cercato con così tanta solerzia non è altro che la sua condanna.

Il dolore degli sguardi e delle identità

"Guarda cosa abbiamo creato", pronuncia Emad indicando a Babek i palazzi di fronte a lui: "Faremmo prima a buttare giù tutto e ricominciare da capo". Un semplice concetto, che di certo con l'edilizia ha poco a che fare ma sembra inglobare al contrario lo stato d'animo di Emad, la sua incredibile voglia di tornare indietro e ricominciare ad essere felice di nuovo, buttando giù con un solo colpo il responsabile del suo dolore. "Lo abbiamo già fatto, e non è cambiato niente" risponde Babek, riferendosi ai palazzi e a quel processo che purtroppo non impara dagli errori ma lascia sempre vincere l'istinto e la rabbia, che soverchiano costantemente la morale. Presente e passato di un individuo, di una famiglia, di un essere umano sospeso che semplicemente si sente divorato da un sentimento a cui riesce a dare sfogo solo facendo la cosa sbagliata: nonostante questo Asghar Farhadi non lo giudica, ma anzi compone il suo dolore con lucidità estrema riuscendo fino alla fine a mantenere un perfetto equilibrio tra testo ed immagine, entrambi disegnati con una disarmante semplicità che non lascia niente fuori posto, nemmeno un granello di polvere. Il lavoro lo fanno principalmente gli attori, che il regista iraniano riesce a seguire con dignità e rispetto, il vero miracolo del suo cinema: è grazie a loro e ai loro volti che lo spettatore si trova incastrato in una vicenda che dal particolare scivola verso l'universale e finisce per colpirlo quasi senza che se ne renda conto.

The Salesman Metaforizzando "Morte di un commesso viaggiatore" Asghar Farhadi racconta una storia drammatica fatta di paura, dolore e vendetta. Attraverso la rabbia di Emad e il suo bisogno di rggiungere lo scopo pulendo il suo cuore e quello della sua famiglia, Farhadi rivolta le carte e regala profondità e umanità ad ognuno dei suoi protagonisti, uscendone pulito e privo di giudizi nonostante il tema affrontato. Un'altra perla del suo cinema, compatto e privo di sbavature.

8

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