Recensione The Narrow Frame of Midnight

La regista Tala Hadid presenta un road movie esistenziale di grande impatto visvo ma scarsa compiutezza narrativa

Recensione The Narrow Frame of Midnight
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La regista (ma anche sceneggiatrice e fotografa) britannica e figlia di esuli iracheno-marocchini Tala Hadid presenta a Roma il suo primo lungometraggio The Narrow Frame of Midnight, road movie ancorato a un disagio esistenziale che appartiene un po' a tutti i protagonisti della storia. La piccola Aicha, orfana, finisce nelle mani di un criminale senza scrupoli (e della sua compagna) che vorrebbe venderla in Europa in cambio di una cospicua somma in denaro. Lungo la strada i tre incroceranno Zacaria, scrittore marocchino-iracheno che è in viaggio alla disperata ricerca del fratello scomparso (dopo aver forse aderito a un gruppo rivoluzionario). Durante il viaggio la bambina riesce a divincolarsi dai suoi ‘rapitori' e viene accolta da Judith, che vive isolata da tutto e tutti in una enorme casa immersa nella natura. I percorsi di questi personaggi e l'intreccio delle loro storie rappresentano un film 'itinerante' che attraversa il Marocco, Istanbul e poi Baghdad in un movimento fisico ed esistenziale che sarà per tutti un viaggio alla ricerca (presunta) di qualcosa ma soprattutto una parabola metaforica alla ricerca di sé stessi.

Aicha

Una metafora (appunto) che sin dal titolo proietta l'opera della Hadid in un cono d'ombra di malessere condiviso tanto dai ‘buoni' quanto dai ‘cattivi' di questa parabola umana. Mentre la piccola Aicha soffre infatti tutta l'amarezza e la difficoltà dell'essere una bambina orfana, e Zacaria si porta appresso il vuoto della perdita (quella del fratello che cerca con tutte le sue forze), anche i due rapitori di Aicha sono in fondo proiezioni affrante di quello stesso mondo smarrito e confusionario in cui l'obbiettivo primario risulta essere sempre quello della sopravvivenza (reale ma anche psico-emotiva). La Hadid costruisce uno schema narrativo circolare dove il vagare dei protagonisti diventa mezzo e contenuto stesso del film, che incrocia tematiche come quella della tratta di minori o di rivoluzioni sanguinose lasciandone intravvedere solo alcuni aspetti. È invece poi soprattutto la splendida fotografia di Alexander Burov attraverso cui la Hadid fissa ed esalta alcuni momenti e dettagli dello stato di tragicità, desolazione, smarrimento della storia a rappresentare la quasi totalità dell'essenza filmica di The Narrow Frame of Midnight. Un film ben capace di raccogliere le sfumature di un disagio esistenziale diffuso e sopraffacente, ma che stenta a trovare una sua definizione più precisa per via della mancanza di uno scheletro narrativo autosufficiente e autoconclusivo. Immagini, suggestioni narrative, proiezioni esistenziali che pur non lavorando nella direzione di una compitezza filmica contribuiscono a costruire un'estetica molto forte, dalla quale emerge (seppur in maniera discontinua) la forza sottesa dell'opera della Hadid. Una forza che in ogni caso si esplicita in maniera magistrale in alcune scene chiave, come quella dei numerosissimi cadaveri sparpagliati in un enorme stanzone e che si paleseranno indeterminati di fronte agli occhi di Zacaria o la scena dell'epilogo, in cui un fiume di veli di donne si fondono in una massa indistinta di nero. È lo smarrimento d'identità e la progressiva omologazione a quello stato di perdita del sé in mondi similmente ostili di cui il film vuole essere denuncia.

The Narrow Frame of Midnight La regista britannica Tala Hadid debutta alla regia di un lungometraggio con The Narrow Frame of Midnight (una coproduzione tra Francia, Regno Unito, Marocco), storia circolare di una manciata di personaggi alla ricerca di (o in fuga da) qualcosa. Un road movie che esprime soprattutto nella sua forza estetica un notevole mezzo narrativo, ma che non è in grado di raccordare fino in fondo tutto il materiale a sua disposizione. Ne risulta un’opera dal notevole potenziale espressivo che (di fatto) resta un po’ fuori fuoco in relazione ai contenuti che vorrebbe veicolare.

6

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