Recensione The Motel Life

Un esordio cinematografico che vale mille premi morali.

Recensione The Motel Life
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Ci sono tipologie di storie che il cinema non si stanca mai di raccontare: tra questi il legame tra due fratelli, tra due amici che sono cresciuti insieme e che non possono fare a meno l'uno dell'altro per vivere. È facile pensare che portare al cinema uno di questi rapporti sia una vittoria sicura, consapevoli che, in qualsiasi modo e in qualsiasi tempo, faranno presa sullo spettatore, ma più difficile è farlo in modo nuovo, percorrendo strade più vicine all'inconscio che alla narrazione visiva. È quello che fa a grandi linee The Motel Life, opera prima dei fratelli Alan Polsky e Gabriel Polsky in concorso alla settima edizione del Festival Internazionale del film di Roma, vincitore del premio per la migliore sceneggiatura e del premio del pubblico BNL per il miglior film. Un esordio importante quindi per questi due giovani cineasti che si sono presentati per la prima volta raccontando proprio la storia di due fratelli, tratta dal romanzo omonimo scritto da Willy Vlautin. La loro opera ha commosso ed emozionato, proponendo un tipo di narrazione cinematografica intimista e romantica, ma capace di arrivare davvero a tutti, critici e non.

Fuggire

Frank (Emile Hirsch) e Jerry Lee (Stephen Dorff) sono sempre stati insieme. Da quando la loro madre è morta lasciandoli soli e orfani, hanno vissuto a Reno imparando a badare l'uno all'altro, anche quando le cose si sono fatte davvero difficili. Per fuggire dalla grigia vita in motel, Frank inventa storie avventurose che spesso vedono protagonista suo fratello. Quando Jerry Lee investe involontariamente un ragazzino di Reno, i due fratelli dovranno prendere una dura decisione: affrontare la realtà o fuggire da tutto alla ricerca di un nuovo inizio? Inseguiti dalla polizia, ma soprattutto dai sensi di colpa e dai ricordi del loro passato, Frank e Jerry Lee si apprestano a disegnare una nuova avventura di cui ancora non conoscono il finale.

Legami

The Motel Life è il racconto del legame fraterno tra Frank e Jerry Lee, un rapporto che va oltre le normali relazion parentali e si insinua nei meandri di una promessa, quella fatta alla madre prima che morisse, e di un reciproco bisogno di sopravvivenza. Jerry Lee, nonostante tutti i suoi limiti fisici ed emotivi, è il motore che tiene in funzione Frank, la parte più creativa ed emotiva della coppia. I due protagonisti si sorreggono, si completano, scrivono la loro storia intervallando pezzi della loro personalità, antichi rimorsi e un disilluso ottimismo per il futuro. Alan e Gabriel Polsky scelgono per il loro primo film un metodo narrativo che dia spazio ai personaggi più che alla potenza delle inquadrature, lasciando che la macchina da presa si stanzi nel loro inconscio e di lì riprenda la storia da raccontare. Anche quando i ritmi accelerano e si riempiono di azione, il film continua a mantenere quell'aria intimista da racconto sussurrato. Merito certo della fotografia di Roman Vas'Yanov, vitrea e sempre un po' gelida, e di un connubio davvero ben riuscito tra lo score musicale e le performance di Emile Hirsch e soprattutto di un fantastico Stephen Dorff. Quello che rende The Motel Life un progetto interessante è il modo in cui i due registi alternano le riprese live action o un'animazione 2D dai tratti massicci e angolari, che sostituisce gli attori sullo schermo quando Frank parte con il raccontare le sue fantasiose storie, specchio dei loro desideri più nascosti e di quelle speranze che non hanno il coraggio di esprimere a voce troppo alta.

The Motel Life The Motel Life, tra i film presentati in concorso in questa edizione del festival, è sicuramente il progetto che più riesce ad accomunare i pareri del pubblico: emozionante, suggestivo, dallo spiccato potere catalizzatore. Dimostra come non servano grandi budget e urlate provocazioni per fare un film che oltrepassi le barriere emotive dello schermo cinematografico, ma solo una buona storia, anche con le basi più classiche del mondo, e il giusto modo di raccontarla. Alan Polsky e Gabriel Polsky forse non hanno scelto un progetto rischioso per il loro esordio, ma dimostrano di essere capaci di uno stile registico e narrativo piacevole, emotivo, accondiscendente come una favola della buona notte... e non è da tutti.

7

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