Recensione The King of Pigs

Dalla Corea del Sud, un film animato sul bullismo che colpisce duro allo stomaco

Recensione The King of Pigs
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Yeung Sang-Ho dopo anni di esperienza nel cortometraggio animato debutta con il suo The King of Pigs, spietato racconto di bullismo vincitore di ben tre premi al Busan International Film Festival e primo film d'animazione coreano ad essere presentato al Festival del Cinema di Cannes.

Dopo che la sua impresa è fallita, il trentenne Kyung-Min in un raptus di follia uccide la moglie. Come se nulla fosse accaduto chiama il suo vecchio compagno di scuola Jong-Suk, ghost writer di biografie, con il sogno di avere successo con un proprio romanzo.
Per la prima volta dopo quindici anni i due si incontrano: nascondendo le proprie situazioni personali Kyung-Min e Jong-Suk cominciano a parlare del passato e del loro primo anno di scuola media, un piccolo inferno sulla terra, gerarchizzata in base alla ricchezza e ai voti. I due giovani si trovavano nella parte più bassa della catena alimentare, continuamente vessati dai più ricchi e bravi della loro classe, comandati a loro volta dai migliori studenti della scuola uniti in una sorta di società segreta. Ma un giovane ragazzo non ci sta e si ribella continuamente alle angherie dei compagni: è il giovane e disagiato Chul-Yi, ragazzino “imbattibile” che verrà trasformato nel leader dei più deboli.
Ma nel passato di Kyung-Min e Jong-Suk si nasconde un segreto che riguarda proprio Chul-Yi e, mentre si avvicinano alla loro vecchia scuola, Kyung-Min si avvicina sempre più alla verità di quel giorno che ha segnato indelebilmente le loro vite.

Questo luogo ricoperto di cemento e cadaveri chiamato mondo

The King of Pigs si inquadra in quella serie di film animati per adulti che ha visto in Persepolis e Valzer per Bashir alcuni degli esempi più alti del genere in Occidente e che in Asia trova nelle opere di Mamoru Oshii come Ghost in The Shell e The Sky Crawlers altri eccezionali esempi. Si tratta di un film forte che non va in nessun modo scambiato per un prodotto per ragazzi. Qui la tematica del bullismo scolastico viene edulcorata dal tratto animato che sovverte la violenza sullo schermo, ma questa non diventa certo meno forte poiché in un ambiente estremamente gerarchizzato è la violenza psicologica quella che permane. Quello che viene a galla con il film animato di Yeung è una società in cui, paradossalmente, ad essere i bulli sono i bravi studenti piuttosto che quelli "cattivi" e disagiati. Da questa dicotomia di bravi e cattivi studenti nasce il forte simbolismo della pellicola. Il maiale diventa il simbolo di un animale incapace di fare qualcosa di buono, la cui unica capacità è quella di mangiare in continuazione fino al giorno in cui sarà macellato. Simbolicamente i forti, i bravi studenti diventano i cani, branco selvaggio e violento che vive una vita agiata in mezzo agli uomini.
Il personaggio di Chul, unico pronto a scontrarsi con i cani e per questo incoronato Re dei Maiali, diventerà il simbolo di una lotta inutile che può finire solo nella morte dei maiali, perché nel loro futuro non c'è altro che il macello. In una società guidata in modo violento dall'eccellenza, l'unico modo di sopravvivere per i mediocri e i diversi è quello di conformarsi in un'agghiacciante uniformità sottomessa. Come dice un proverbio giapponese - storicamente proprio dal Giappone questa cultura dell'eccellenza si è pian piano propagata verso la Corea del Sud - "il chiodo che sporge va ribattuto nel legno", coloro che sono diversi devono essere uniformati al gregge, anche in modo violento.

The King of Pigs Il film di Yeun Sang-Ho è una folgorante opera prima che riesce a colpire lo spettatore con la sua estrema violenza psicologica e fisica. Non si tratta affatto di un prodotto per i deboli di cuore poiché alcune sequenze risultano molto forti sebbene siano soltanto immagini animate. Il racconto di questi due trentenni, segnati nel profondo da un'infanzia violenta e sottomessa, che ripercorrono i luoghi del passato in un agghiacciante amarcord diventa un viaggio nell'inferno del loro passato. Grazie ad un disegno molto particolare che da un lato colpisce per la sua semplicità (alcuni movimenti risultano addirittura poco fluidi e legnosi), ma che presto si trasforma in un segno poetico che, distaccandosi dalla mera trasposizione della violenza fisica, spinge ad analizzare il racconto di una società che nella sua corsa verso l'eccellenza ha perso di vista la propria umanità. Unico neo di una pellicola altrimenti ottima è il finale improvviso che nell'economia del film risulta poco coerente e che avrebbe necessitato di qualche minuto in più per essere maggiormente comprensibile.

7.5

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