Recensione The Keeper of Lost Causes

Dalla Danimarca, un thriller capace di lasciare davvero col fiato sospeso

Recensione The Keeper of Lost Causes
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Uno dei più piacevoli film visti a Locarno, carico di tensione e coinvolgimento, è il danese The keeper of lost causes di Mikkel Nørgaard. Che il cinema danese degli ultimi anni sta dando frutti molto felici è risaputo (basti fare alcuni nomi su tutti: Lars Von Trier è inarrestabile, Thomas Vinterberg firma film sempre più belli e il suo ultimo Il Sospetto meritava un riconoscimento a Cannes, che è andato al suo eccellente protagonista Mads Mikkelsen, ora trapiantato negli USA dove, tra gli altri ruoli, è il Dr. Hannibal Lecter nella serie Hannibal), il nome di Nørgaard però è ancora relativamente poco conosciuto e forse questo film può fargli da apripista.

Carl Mørck (Nikolaj Lie Kaas, che ha recitato anche in Angeli e demoni di Ron Howard) ha fallito un’importante operazione e i superiori lo riassegnano al reparto Q: archivio di casi chiusi e irrisolti, “lost causes”. Lavora insieme all’assistente Assad e il lavoro è semplice e monotona routine: sfogliare i fascicoli, riordinare, archiviare. La testa dura di Carl però non è convinta sul caso di Merete Lynggaard, una giovane politicante scomparsa da ormai cinque anni durante una traversata a bordo di un traghetto. L’ipotesi più accreditata è quella del suicidio, ma Carl sente puzza di bruciato e riapre un caso scomodo. Tanti piccoli tasselli enigmatici e apparentemente impossibili da incastrare svelano un sottosuolo di sporcizia nascosta. E il fratello della scomparsa, dalla personalità disturbata, potrebbe essere la chiave.

La donna in gabbia

E’ una co-produzione danese-svedese-tedesca, e si vede: non solo nella trama, ma soprattutto nello stile e nei modi il film di Nørgaard porta alla mente tanto il plot del best-seller Uomini che odiano le donne quanto la sua effettiva messa in scena nella trasposizione svedese (più che in quella americana) Män som hatar kvinnor di Niels Arden Oplev. Sembra in questi anni essersi delineata una tipologia di thriller-noir scandinavo-danese, come se la geografia di questi paesi del nord-est europeo avessero trovato una forma congeniale alle paure rimesse del loro inconscio: persone che scompaiono, apparente indifferenza, una notte perenne (effettivamente uno dei tormenti nordici), tempo da lupi. Un buco nero in cui c’è chi sprofonda e chi fa sprofondare, e le eccezioni di chi cerca di salvare gli “sprofondati” dall’oblio sono rare. Interessante la traduzione del titolo: mentre l’originale danese Kvinden i buret è letteralmente traducibile come La donna in gabbia, concentrandosi soprattutto sul destino della donna scomparsa, l’international title vede una predominanza del ruolo del protagonista e del suo carattere (sottintendendo il tema portante del film): The keeper of lost causes.

The Keeper of Lost Causes Nørgaard firma la sua prima opera internazionale d’un certo respiro, un film che ha tutti gli ingredienti giusti per far breccia nel mercato europeo e americano, come ci auguriamo, soprattutto grazie al talento registico e alla fotografia, che rendono il film accattivante e capace da un lato di conservare quella forma di thrilling scandinavo-danese che si sta sviluppando (Let the right one in, Racconti da Stoccolma, Jagten e Män som hatar kvinnor), da un lato riecheggia i canoni del mistery internazionale, diventando una co-produzione perfetta per il mercato occidentale e non solo.

7.5

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