Recensione The Karate Kid

Un discreto, ma superfluo, remake

Recensione The Karate Kid
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Nel 1984 il mondo impazzisce per il karate, dopo aver idolatrato per anni il kung fu di Bruce Lee. Il merito è tutto di Karate Kid, pellicola che lancia gli esordienti Ralph Macchio ed Elisabeth Shue e rinvigorisce la carriera di uno straordinario Pat Morita, che si guadagnò una nomination agli Oscar -come miglior attore non protagonista- nel 1985 per la sua interpretazione del sensei Miyagi. Karate Kid era la storia del giovane ed insicuro Daniel LaRusso, che tramite gli amorevoli insegnamenti del suo maestro e la pratica dell'antica arte marziale okinawense, imparava importanti lezioni di vita. Il film, diretto dal John G. Avildsen di Rocky, è oramai un classico per almeno due generazioni di ragazzi, che più volte si sono emozionati vedendolo e rivedendolo, non tanto per l'adrenalina dei combattimenti quanto per i genuini e mai stucchevoli messaggi di fondo. Con apparente leggerezza, infatti, la pellicola toccava argomenti di una certa importanza per il pubblico adolescenziale che formava il suo target: bullismo, difficoltà ad inserirsi in contesti sociali diversi da quelli d'origine, rapporto con figure genitoriali naturali ed acquisite, ricerca di uno stile di vita equilibrato, primi amori, competitività sportiva. Il tutto con un tocco anni '80 che aprì la strada ad un vero e proprio filone, non solo al cinema (come dimenticare i tre seguiti, nonché il remake italiota Il ragazzo dal kimono d'oro?) ma anche in fumetti e videogiochi. Ora, a distanza di quasi trent'anni e in un momento apparentemente florido per i remake anni '80 -A-Team, Nightmare-, la storia si ripete: ne sarà valsa la pena?

A master and his disciple

Dre Parker (Jaden Smith) ha solo dodici anni, eppure all'insicurezza tipica della preadolescenza, nonché alla mancanza della figura paterna, si unisce presto un nuovo trauma: per motivi di lavoro, lui e la madre dovranno trasferirsi dalla nativa Detroit alla lontana Pechino. Catapultato di colpo in una realtà a lui completamente nuova e difficile da comprendere, senza conoscere una sola parola di mandarino, Dre si rivela presto insofferente della sua nuova condizione. Dal momento in cui diviene vittima dei pesanti scherzi di un gruppetto di compagni di classe, gelosi della neonata amicizia tra lui e la dolce coetanea Mei Ying (Wen Wen Han), la situazione diviene per il ragazzino insostenibile. Almeno fino all'incontro con il signor Han (Jackie Chan), bizzarro manutentore di condominio ed insospettabile maestro di kung fu, che insegnerà a Dre le antiche arti marziali per potersi difendere, ma soprattutto per migliorare la consapevolezza di sé e permettere al ragazzo di integrarsi nel suo mondo adottivo...

Kung Fu Kid?

Karate Kid - La leggenda continua è, inutile negarlo, vittima di una scelta di concept infelice in partenza. Non ha infatti molto senso intitolare “Karate Kid” un film in cui il ragazzino del titolo impara piuttosto il kung fu, che è un'arte marziale assai diversa, per varie ragioni, da quella giapponese su cui si basava il film originale. Viene da chiedersi perché, pur mantenendo l'idea della transvolata oceanica, non si sia ambientato il film a Tokyo e chiesto ad un attore nipponico -noto magari anche in occidente, come Hiroyuki Sanada- di interpretare uno svecchiato maestro Miyagi.
Ma è inutile recriminare sull'incongruente titolo: è piuttosto il caso di parlare della validità del film in sé, che si rivela fin dalle sequenze iniziali una delle operazioni di remake più pedisseque degli ultimi anni. Al di là del setting differente, infatti, la trama segue passo passo quella del titolo originale del 1984 in ogni snodo principale, concedendosi ben poche, per quanto azzeccate, libertà. Fin dall'uscita del primo trailer, ci si è chiesti l'utilità del remake di un film che a tutt'oggi è invecchiato piuttosto bene, e si fa vedere ancora con piacevolezza: solitamente queste operazioni vengono fatte per adattare un prodotto per un mercato culturalmente diverso -per motivi sociali o temporali- da quello di appartenenza originaria. In questo caso invece si prospettava (e infine si rivela) un'operazione assolutamente arbitraria, un piccolo, voluttuoso capriccio dei coniugi Will e Jade Smith, produttori della pellicola e ansiosi di vedere il figlio alle prese col primo ruolo da protagonista.

Balance is the key

Difatti, per quanto il risultato finale non sia affatto tecnicamente disprezzabile, è l'intento del film a suscitare più di un corrucciamento all'occhio dello spettatore attento ai “dietro le quinte”. Prendere un classico dei teen movie e usarlo, con la scusa del remake, come pretestuoso trampolino di lancio per un figlio d'arte è sicuramente una mossa presuntuosa e in parte infelice, a cui Jackie Chan, star attualmente in declino, si è prestato volentieri nella speranza di riacquistare visibilità con una parte che fece, ai suoi tempi, la fortuna di Morita.
Sono difatti le forzature a favore dell'attore protagonista in fase di stesura del copione, nonché l'attitudine stessa del piccolo Smith Jr., a pesare negativamente sul risultato finale. Se le tematiche del Karate Kid originale possono coprire l'intero arco dell'adolescenza, non altrettanto si può dire delle situazioni, spesso troppo accorate e sopra le righe per essere le vicende di un gruppo di ragazzini che non hanno ancora scoperto la pubertà, mentre nel film originale erano già in odore di patente automobilistica.
Per quanto poi Jaden si riveli bravo come piccolo interprete -assolutamente alla pari dei colleghi adulti- la spocchiosità del suo atteggiamento lo rende piuttosto insopportabile: l'empatia che si provava nei confronti di Ralph Macchio era, invece, tutt'altra cosa. Come tutt'altra cosa era la figura di maestro interpretata da Morita: Jackie Chan affronta in questo film la sua prova più oscura e probabilmente difficile. Nonostante sia il più delle volte convincente anche in versione taciturna e tenebrosa, senza la sua tipica verve e le sue gag sentiamo che manca qualcosa. E non è certo il suo “combattimento” contro una banda composta da una mezza dozzina di dodicenni a rendercelo.
Buona, comunque, l'alchimia fra i due protagonisti, fondamentale nella riuscita del film al di là di ogni altra considerazione. Uno dei nuclei centrali di Karate Kid era proprio il ritrovato rapporto padre-figlio/maestro-allievo, e con un sospiro di sollievo siamo contenti di notare che il rapporto fra Dre e Han è solido e sensato, con alcune scene, come quelle della crisi di Han, di buon impatto drammatico. Ma anche qui, siamo lontani dal risultato originale.

The Karate Kid Con Karate Kid - La leggenda continua il regista Harald Zwart (La Pantera Rosa 2) riscalda una gustosa minestra ad uso e consumo dei suoi attori protagonisti, in un esercizio di stile che, visto come film a sé, non è affatto da buttar via sia dal punto di vista tecnico che da quello interpretativo. Ma che appare superfluo e a tratti irritante, se lo si confronta con il film da cui tutto ha avuto origine e che rimane, a tutt'oggi, molto più godibile.

6

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