Superman Returns, la recensione del film firmato Bryan Singer

Il mondo non ha più bisogno di Superman? La risposta prova a darla Bryan Singer, che dopo gli X-Men ora dice la sua anche sull'Uomo d'Acciaio.

Superman Returns, la recensione del film firmato Bryan Singer
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Nel 1978, quando la Marvel e la Dc spopolavano coi loro più apprezzati fumetti, un attore, allora sconosciuto e recentemente passato a miglior vita, di nome Christopher Reeve si infilava per la prima volta la tutina blu di Superman per recitare in un lungometraggio che sarebbe poi diventato l’icona dei film supereroici. Dopo quasi trenta anni - e diversi seguiti più o meno ispirati - l’uomo d’acciaio ritorna nel mondo della celluloide più in forma che mai, in un misto di effetti speciali e spettacolarità, che di sicuro faranno la gioia dei fan. Ma non diamo giudizi affrettati...

Un Oliver Twist alieno

La storia di Superman, per chi non lo sapesse, è un racconto piuttosto classico, un topos utilizzato fin dall’antichità dai drammaturghi greci e ripreso, con alcune variazioni, dal creatore di Superman nei primi fumetti di Nambo Kid (il primo nome dell’uomo d’acciaio). Kal-el, meglio noto come Clark Kant, è infatti un orfano che, allontanato dal padre Jor-el in un ultimo gesto d’amore volto a salvargli la vita, si ritrova da solo sulla terra, come ultimo rampollo del pianeta Krypton. Superman allora viene raccolto dai coniugi Kant che lo adottano e, dopo lunghe peripezie ed un infanzia difficile, riesce a diventare quello che sarebbe poi stato conosciuto come il supereroe più famoso di sempre.
Questo è più o meno il preludio di tutte le produzioni riguardo l’uomo d’acciaio, riportato alla ribalta dalla serie tv di successo: Smallville.

Questo nuovo capitolo della saga di Superman si distacca però dagli altri per una dimensione un tantino più drammatica, e meno incentrata su registri stilistici da commedia. La trama del film prende piede dal viaggio di Kal-el alla ricerca del suo vero io (o meglio delle sue origini) intrapreso quando gli astrologi hanno trovato ciò che rimane del pianeta Krypton. La trama quindi è stata sviluppata unicamente partendo da questa idea, mettendo Superman davanti alla consapevolezza che, durante i suoi cinque anni di assenza, la vita è cambiata e non tutti a Metropolis hanno sentito bisogno di lui: meno che mai Lex Lutor, oramai uscito di prigione, e l’amata Lois Lane, che si è rifatta una vita lasciando il supereroe alle spalle.

Purtroppo la trama vera e propria finisce qui, dopo un paio di minuti di film e qualche linea di testo in stile Star Wars, che poteva anche essere evitata inserendo dialoghi migliori, che facessero capire al pubblico le nozioni essenziali da cui parte tutta la sceneggiatura. La storia risulta quindi orchestrata unicamente come mera giustificazione per le tante esagerate scene d’azione, che prendono spunto dai capitoli precedenti della saga. Purtroppo per motivi di copione e di attinenza con gli scorsi episodi, il film non si ispira al fumetto, ma solo ai vari superman cinematografici, il che merita una nota di disapprovazione. Difatti, pur non essendo il più venduto di sempre, il comics dell’uomo d’acciaio ha arricchito, dal 1987 ad oggi, il personaggio con nuove ed interessanti storie, che avremmo visto bene sviluppate o almeno citate nel film. Il che accade solo ed unicamente per l’episodio più eclatante: “La morte di Superman”.

Ci troviamo quindi di fronte ad una pessima sceneggiatura che parte da una trama con un mucchio di buone idee mal sviluppate e che, così concretizzate, possono essere apprezzate solo ed unicamente dagli appassionati del fumetto o dagli spettatori meno esigenti, che comunque si accorgeranno delle tante esagerazioni/errori della sceneggiatura: un esempio su tutti la tutina dell’uomo d’acciaio, misteriosamente indistruttibile.

Clark, Lois e gli altri

Superman Returns, fino dal suo stadio embrionale, ha avuto parecchi problemi sia di carattere legale che nella scelta del cast. Per quel che concerne i “problemucci” con la legge, si deve "ringraziare" Bryan Singer che, volendo utilizzare come spunto il Superman di Richard Donner, ha rischiato di incorrere in diversi problemi di Copyright, per non parlare dell’apparizione post-mortem di Marlon Brando nel ruolo di Jor-el. Ma anche per questo ci sentiamo di dover ringraziare Singer in quanto la scena montata con le immagini di repertorio di Brando è forse quella più ispirata ed evocativa di tutto il film e risulta una tra le migliori interpretazioni del lungometraggio, il che è tutto un dire.

I problemi di cast sono forse quelli più gravi. Infatti molti artisti hanno rifiutato la parte di Superman, forse anche per via della sorte dello sfortunato Christopher Reeve, che - legatosi troppo al personaggio - è rimasto negli annali del cinema solo ed unicamente come Superman. In questo modo il nostro amatissimo regista è stato costretto a ripiegare su Brandon Routh, attore semisconosciuto che però non manca della fisicità richiesta al personaggio che è stato chiamato ad interpretare. Ma se il fisico dell’artista è ottimo, non possiamo dire la stessa cosa della recitazione, che scimmiottando quella di Christopher Reeve, rende il personaggio di Superman a nostro avviso fin troppo "ridicolo".

Ovviamente lo stesso vale per l’alter ego dell’uomo d’acciaio che, per via del dualismo intrinseco del personaggio, viene centrato quasi perfettamente dal nostro Brandon. Il ruolo migliore è però quello di Lex Luthor (interpretato da Kevin Spacey) che - lasciatosi alle spalle tutti i precendenti di celluloide - crea un personaggio pazzo e meno parodizzato rispetto all’originale di Gene Hackman, che centra in pieno il nemico di superman, proprio come se lo sarebbero aspettato i lettori del fumetto originale.

Non sono invece degne di nota le interpretazioni di Kate Bosworth (nel ruolo di Lois Lane) e di James Mardsen (il ciclope di Xmen, nel ruolo del marito di Lois). La prima infatti risulta inadatta al suo personaggio, nonostante si sforzi di apparire credibile; il secondo invece è fin troppo sopra le righe ed interpreta una scialba e magrolina versione del rambo di turno, di cui avremmo fatto volentieri a meno.

Neanche la regia si salva in questo quadro disastroso. Tutte le inquadrature sono volte solo a sottolineare le scene d’azione e gli effetti speciali. Quelle dei dialoghi invece sono scialbe copie dell’originale Donneriano. A questo punto non si riesce a capire perché un regista di successo come Singer si sia lasciato andare in questo modo. Per carità si tratta di una buona regia, ma da lui ci si aspettava sicuramente di meglio, ed a nulla valgono gli ottimi effetti speciali che oramai sono diventati canonici in produzioni del genere e che quindi nonostante la loro evidente qualità non fanno più scalpore.

Superman Returns Superman Returns è, non ci stancheremo mai di ripeterlo, un film appena sufficiente, che però non riesce a risollevare in nessun modo le sorti dell’uomo d’acciaio. Inutile dire che -dopo Batman Begins- il pubblico poteva aspettarsi di meglio; non certo un frivolo mix di effetti speciali, sopravvalutato dal pubblico ed indirizzato solo ai fan sfegatati di Superman, o alla grande utenza priva di pretese. Dopotutto la scommessa di Singer appariva già persa in partenza perché Superman risulta inadatto ai tempi, senza un corposo restyling che non c’è mai stato. A questo punto non ci resta che essere d’accordo con la Loise Lane del film : “The worl doesn’t need Superman”.

5.5

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