Recensione Summer camp

Sceneggiatore e produttore esecutivo del thriller iberico Bed time, Alberto Marini esordisce dietro la macchina da presa con Summer camp, horror atto a miscelare gli ingredienti tipici del genere, dal campo estivo ai giovani da tormentare.

Recensione Summer camp
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Se il titolo Summer camp può erroneamente spingere a pensare all'ennesima commedia a stelle strisce con giovinastri in vacanza in cerca di sesso, alcool e avventure sotto il sole, il luogo d'ambientazione suggerisce, inevitabilmente, che si tratti nel nuovo territorio d'azione dello squarta-adolescenti proto-Jason Voorhees di turno.
Produttore esecutivo dei primi tre capitoli della saga zombesca [Rec] e del thriller Bed time, di cui ha curato anche la sceneggiatura, il torinese trapiantato nella penisola iberica Alberto Marini, invece, per il suo primo lungometraggio da regista - dopo gli short Que sera sera e Scomparsa - prende tutt'altra direzione e spiega: "Non è la prima volta che un film di genere viene ambientato in un campo estivo. L'ambientazione, l'isolamento, mettere un gruppo di sconosciuti nello stesso posto... sono tutti ingredienti classici di un film horror. Penso, però, che questa sia la prima volta che in un film tutti i protagonisti ricoprono tanto il ruolo di vittima, quanto quello di carnefice. I ruoli cambiano continuamente: l'inseguitore diviene l'inseguito, il gatto diventa il topo. Volevamo inserire quest'idea in un film pieno di terrore e adrenalina e dove i personaggi non hanno nemmeno il tempo di respirare e non ricevono alcuna pietà".

Rabbia giovane

Perché, con i volti del Diego Boneta della serie televisiva 90210, della Maiara Walsh di Angry games - La ragazza con l'uccello di fuoco, della Jocelin Donahue di Oltre i confini del male - Insidious 2 e di Andrés Velencoso, i quattro giovani americani che, alla ricerca di nuove esperienze e di un po' di divertimento, si offrono di lavorare come istruttori in un campo estivo in Europa, non si ritrovano ad avere a che fare con il solito maniaco amante dell'arma bianca, ma finiscono di volta in volta trasformati in rabbiosi esseri sbavanti liquido scuro, rimandando, in un certo senso, allo splatter cult La casa.
Di volta in volta perché, mentre l'esordio raimiano viene in più occasioni omaggiato anche dal punto di vista visivo, ognuno dei protagonisti non si trasforma in maniera definitiva, ma torna occasionalmente alla normalità, costringendo sia se stesso che lo spettatore a chiedersi quale sia la causa scatenante della sua improvvisa, incontrollabile aggressività. E, in particolar modo per quanto riguarda la spiegazione al tutto, si respira anche una certa aria da eco-vengeance risalente agli anni Settanta e Ottanta nel corso della altamente movimentata oltre ora e venti di visione, che, pur senza eccellere ed apparendo a tratti eccessivamente fracassona, si rivela capace di intrattenere e non annoiare mai.
Grazie soprattutto alla capacità manifestata dallo script - a firma dello stesso regista in coppia con Danielle Schleif - di miscelare a dovere gli ingredienti tipici dell'horror evitando di scadere nella banalità (finale compreso).

Summer camp Trattandosi del lungometraggio d’esordio di Alberto Marini, sceneggiatore di Bed time di Jaume Balagueró, non poteva essere altro che il cineasta spagnolo autore di Darkness e [Rec] 4: Apocalipsis a figurare in qualità di produttore esecutivo di Summer camp, i cui elementi di base sono tra i più comuni dell’horror partorito tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo: quattro ragazzi, un campo estivo e qualcosa di terribile che li colpisce nei boschi. Ma niente massacri alla Venerdì 13, bensì un misterioso morbo che li trasforma in aggressivi esseri che sembrerebbero indemoniati, portandoli ad attaccarsi l’uno contro l’altro. Al servizio di un serrato spettacolo non originalissimo, ma capace di mixare in maniera non banale i diversi elementi tirati in ballo... senza spingere a gridare al capolavoro.

6

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