Split: la recensione del film di M. Night Shyamalan

L'ultima fatica di M. Night Shyamalan è in uscita al cinema. C'è James McAvoy in stato di grazia e un finale che non lascia indifferenti.

Split: la recensione del film di M. Night Shyamalan
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M. Night Shyamalan ha ritrovato se stesso? La stampa americana, da quando ha visto Split, non ha dubbi. Di sicuro ha scovato un ottimo producer: tale Jason Blum, che dal 2015 ha rilanciato la carriera (e il brand) dell'ex-enfant prodige di Hollywood. Risultato? Il sorprendente The Visit e - appunto - l'attesissimo Split, thriller psicologico. Questa volta il regista indiano affronta il tema della personalità multipla: un evergreen del genere horror-thriller, che da Robert Louis Stevenson in poi è matrice di spunti e idee per racconti suggestivi. Così Shyamalan dà vita a un maniaco che rapisce e imprigiona in uno scantinato tre ragazzine: Claire, Marcia e Casey. Le giovani si accorgeranno presto di combattere non uno, bensì 23 rapitori differenti, racchiusi in un unico individuo. Il suo nome è Kevin "Wendell" Crumb ma in lui si dimena un intero condominio di categorie umane: dallo stilista omosessuale Barry, al timido ma educato Dennis, al bambino capriccioso Hedwig, fino alla signora Patricia. Tutti interpretati virtuosamente da James McAvoy, che riesce in scioltezza a coordinare una molteplicità di voci, posture e atteggiamenti. Nel mucchio però, serpeggia una pericolosa 24esima personalità, che gode di un appellativo poco rassicurante: "La Bestia". Riusciranno le ragazze a uscire vive dalla cattività? Mentre la polizia brancola nel buio, la loro unica speranza è riposta in un'anziana psicanalista (Mrs. Fletcher), dalla quale Kevin è in cura e che comincia a temere per gli atteggiamenti del paziente.


Shyamalan at his be(a)st? Non proprio

Tanto hype muove la promozione di Split, venduto come lo Shyamalan at his best. E in effetti, per buona parte il dispositivo funziona a meraviglia. La tensione si taglia con un coltello, la regia è magistrale: calibrata, impercettibile eppure incisiva. Il regista sfoggia tutta la sua classe negli insistiti primi piani alla piccola Casey (la più sveglia delle tre), nelle ansiogene carrellate e in una scena d'apertura che rimarrà negli annali. Addirittura la caratterizzazione dei personaggi - sebbene abbozzata velocemente - risulta nitida e profonda. Dunque tutto fila liscio in Split, se non fosse che a un tratto accade il prevedibile. Quel twist ending a là Shyamalan si palesa puntuale, passati i ¾ del minutaggio. Una "brutta bestia" che si impossessa dello script e ne stravolge il senso generale. Peccato, perché stavamo guardando un gran bel film: che bisogno c'era di buttare tutto a mare? Peraltro polverizzando ogni traccia di credibilità, anche scientifica, pazientemente intarsiata fino a quel momento. Chissà cosa è saltato per la mente a Mr. Shyamalan: un enigma al quale nemmeno la dottoressa Fletcher saprebbe rispondere.

Realtà in Split Screen: Siamo tutti Kevin?

Occasione sprecata, dunque? Ci sa tanto di sì. E non basta la divertente sorpresa nell'inquadratura finale, a farci dimenticare il pasticcio precedente. Comunque Split qualche spunto di riflessione lo offre. Il tema della personalità multipla, viene affrontato con piglio autobiografico e - al tempo stesso - uno sguardo consapevole sul presente. E' impossibile non rintracciare in Kevin Wendell Crum una sorta di incarnazione del regista. Personalità tracotanti, indefinibili e impossibili da inquadrare. Entrambi amano inventare storie, raccontarle con enfasi e prendere per i fondelli chi le sta a sentire. Ma sopratutto combattono con un'ambizione smisurata, "bestiale", che spesso cozza con l'estetica elegante e posata esibita esteriormente. Ma Shyamalan non si ferma alla sterile autocritica e punta il dito verso la società, verso tutti noi. Nel film con McAvoy c'è una spietata rappresentazione di cosa siamo diventati, a forza di lavorare in multi-tasking. Dalla trappola dei social, degli schermi sempre accesi, splittati in decine di finestre aperte, non sfugge ormai nessuno. Nemmeno l'anziana psicanalista del film, sovente inquadrata in conversazioni Skype. Figurarsi le tre ragazzine, prime vittime sacrificali di un sistema tecnologico deviante. Forse è ora di chiudere qualche pop-up, spegnere lo smartphone e concentrarsi su sé stessi. Questo sembra essere il monito di Shyamalan. Altrimenti si finisce come Kevin, se non peggio.

Split Il fenomeno M. Night Shyamalan torna in Italia, ingigantito dall'hype creato ad hoc dalla critica statunitense. Split però non è il capolavoro che ci si aspettava. Paga i difetti e le debolezze che da sempre colpiscono il regista: mai come questa volta il suo proverbiale twist ending appare gratuito e persino fastidioso. Spiace, perché i primi 3/4 del film funzionano a meraviglia: tutto è calibrato, teso e ben girato. In più sequenze, Shyamalan sfoggia il tuo talento visivo, costruendo momenti di elevato thrilling. Split comunque merita una visione, specie se si è fan del regista (o - più ingenerale - se si apprezzano i thriller). Già soltanto la scena iniziale vale il prezzo del biglietto; per non parlare della vistuosistica performance di James McAvoy, nei panni dello schizofrenico Kevin.In fin dei conti Split non è certo un brutto film, tutt'altro. L'insufficienza la assegniamo per quello che poteva essere e non è stato. Peccato, perché bastava poco per replicare il miracolo del precedente The Visit. E invece...

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