Recensione Solo Dio Perdona - Only God Forgives

Nicolas Winding Refn e Ryan Gosling, secondo round

Recensione Solo Dio Perdona - Only God Forgives
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Ne abbiamo sentito parlare soprattutto grazie allo splendido Drive (2011), che, con Ryan"Gangster Squad"Gosling nei panni di uno stuntman e meccanico che si metteva di notte a disposizione della criminalità di Los Angeles, gli fece ottenere la Palma per la miglior regia presso il prestigioso Festival di Cannes.
Al di là di quella produzione statunitense, però, il danese classe 1970 Nicolas Winding Refn era già conosciuto dai cinefili più esigenti e meno banali per i suoi precedenti lavori, dalla trilogia Pusher (1996/2005) a Valhalla rising - Regno di sangue (2009), e, ora, sempre con Gosling protagonista, torna in patria per Solo Dio perdona, co-produzione tra Francia e Danimarca, della quale precisa: "L'idea originaria di questo film era la storia di un uomo che vuole lottare contro Dio. Sono partito quindi da questo spunto iniziale per creare un personaggio che crede di essere Dio (Chang) e che diventa l'antagonista di un gangster, il protagonista, che è alla ricerca di una religione in cui credere (Julian). Si tratta di un tema esistenzialista perché la fede si basa sulla necessità di una risposta superiore, ma la maggior parte delle volte non sappiamo qual è la domanda. Quando arriva la risposta, dunque, dobbiamo ripercorrere le nostre vite per poter trovare la domanda. In questo senso il film è concepito come una risposta ad una domanda che viene rivelata alla fine".

Kiss kiss bang Bangkok

Il candidato al premio Oscar per Half Nelson (2006), infatti, concede qui anima e corpo al giovane Julian, membro di una potente famiglia criminale impegnato a gestire un club di pugilato in Thailandia come copertura per il traffico di droga e il cui fratello maggiore Billy alias Tom"The libertine"Burke uccide brutalmente una prostituta, spingendo le autorità a rivolgersi a un poliziotto in pensione: Chang, con le fattezze del Vithaya Pansringarm di Una notte da leoni 2 (2011), che opera basandosi su un'idea di giustizia molto personale basata sulla morte quale punizione.
Ma, intenzionata a recuperare il corpo del figlio, approda a Bangkok Crystal, madre di Julian e Billy interpretata dalla Kristin Scott Thomas de La chiave di Sara (2010), nonché capo di una potente organizzazione criminale, la quale, addolorata e furiosa, ha l'unico obiettivo di progettare e consumare una spietata vendetta nei confronti di coloro che si sono macchiati del sangue del suo primogenito.

Il ritorno del Refn

E, considerando la grande passione per il cinema di genere italiano mai tenuta nascosta dall'autore di Bronson (2008), chissà se il titolo dell'operazione intenda apparire quale omaggio all'arcinoto Dio perdona... io no! (1967) di Giuseppe Colizzi, western con protagonisti i mitici dal pugno facile Bud Spencer e Terence Hill.
Non sarebbe da escludere, se pensiamo non solo che la vicenda raccontata appare quasi come un western trasferito in tempi moderni, ma anche che essa è dedicata al cileno Alejandro Jodorowsky, cineasta che, a modo suo, ha rivisitato lo stesso genere tramite lungometraggi surreal-filosofeggianti come El topo (1970).
Del resto, mentre la succitata, precedente fatica refniana guardava in maniera evidente agli anni Ottanta metropolitani di Walter Hill e William Friedkin, in questo caso il principale punto di riferimento sembra essere il violentissimo, sporco e cattivo decennio precedente; sebbene non risulti assente neppure una certa influenza dal cinema di Takeshi Kitano e da quello di Akira Kurosawa, fonte d'ispirazione proprio per Sergio Leone e seguaci.
Ma, tra un'impressionante sequenza di accecamento e il necessario spazio concesso allo splatter, c'è tempo anche per un esilarante dialogo tarantiniano a cena tra Julian, sua madre e la giovane prostituta Mai alias Rhatha Phongam nel corso dei circa novanta minuti di visione che, immersi nella splendida fotografia di Larry Smith, privilegiano in particolar modo - e in maniera affascinante - il colore rosso.
Circa novanta minuti di visione costruiti su lentissimi ritmi di narrazione, ma capaci di coinvolgere e di non rendere affatto soporifero l'insieme; tanto che il regista, complici le bellissime immagini che - impreziosite da inquadrature geometricamente perfette e dal buon uso della colonna sonora - finiscono per parlare più delle parole, si conferma una volta per tutte tra i maggiormente dotati d'inizio XXI secolo.

Solo Dio Perdona - Only God Forgives “Potrei dire che Solo Dio perdona è come una sintesi di tutti i film che ho realizzato finora. Credo che mi stessi dirigendo proprio verso questa collisione creativa, a grande velocità, per poter cambiare tutto ciò che mi circonda e vedere ciò che sarebbe emerso. Ho sempre pensato che avrei realizzato film sulle donne e invece ho finito per fare film su uomini violenti. Adesso c’è stata questa collisione, può succedere che tutto intorno a me si capovolga. Questo fenomeno è avvenuto perché tutto ciò che mi circonda è diventato instabile ed insicuro. Ma non bisogna dimenticare che il secondo nemico della creatività, dopo aver ‘buon gusto’, è il sentirsi al sicuro”. Il danese Nicolas Winding Refn sintetizza così la sua seconda fatica interpretata da Ryan Gosling, già al suo servizio nell’acclamato Drive (2011). I fan delle scorribande automobilistiche metropolitane e dell’azione potrebbero in questo caso storcere il naso, ma, forte anche di un cast in stato di grazia, Solo Dio perdona fa dei suoi lenti ritmi di narrazione strumento efficace per poter scoprire passo dopo passo una violenta vicenda di vendetta perfettamente orchestrata... come quando un maestro di musica opera dinanzi a uno spartito del tutto privo di note fuori posto.

7

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