Slevin - Patto Criminale, la recensione del film con un cast stellare

La storia di un uomo sbagliato al posto giusto... la nostra recensione di Slevin - Patto Criminale, con un cast stellare.

Slevin - Patto Criminale, la recensione del film con un cast stellare
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Un gangster movie per tutti

Cosa faresti se un boss malavitoso, che detiene un ragguardevole potere sulla città, ti scambiasse per qualcuno che non sei, e pretendesse di venir ripagato di un debito? Cosa faresti se poi il rivale del boss, che vive nel palazzo di fronte, cadesse nello stesso errore, e tu ti trovassi nell’infelice posizione che ti vedrebbe debitore con entrambi? E se, tanto per complicare un po’ le cose, come pagamento, il primo dei due ti chiedesse di uccidere il figlio dell’altro?
E’ questa la situazione che si prospetta per il povero Slevin, all’inizio di questa nuova fatica di Paul McGuigan, prima fotografo, poi regista di film come “Gangster No.1” (2000), “Appuntamento a Wicker Park” (2004) e “The Reckoning” (2003). Fatica che già dai trailer si prospettava come un lavoro interessante, curato nella fotografia come nella regia, e che riusciva a catturare l’attenzione dei più grazie ad un cast che difficilmente passa inosservato. Un trailer che prometteva, insomma, e che invogliava alla visione gli amanti del genere e non solo, facendo sapientemente leva sulla presenza di personaggi stereotipati, presentati uno per uno come in una vetrina, e ammiccando allo spettatore con accenni ad una trama che sa di classico quanto di intrigante. Aggiungiamo al cocktail una colonna sonora dal sapore pulp e, in un periodo in cui il solo odore “Tarantiniano” provoca l’acquolina in bocca, il gioco è fatto.

...con un cast del genere

Il regista si presenta quindi sul finire dell’estate, nel pieno rifiorire della produzione cinematografica, con un gangster movie ironico e brillante, che è in grado di utiliizzare tutti i più classici elementi del genere, riproporli in modo non sempre politicamente corretto, e aggiungere anche qualcosa in più.
Abbiamo così il classico scambio di persona, di cui è vittima lo sfortunato quanto carismatico protagonista, Slevin (Josh Hartnett), che si presenta in scena con un naso rotto, una faccia tosta grande come una casa e una sagacia tanto irritante quanto affascinante, al punto che non è possibile non amare fin da subito il suo personaggio. Affetto da atarassia, infatti, il suo è uno stato di perenne quiete e mancanza di preoccupazione, e questa risulta la sua maledizione e salvezza, perché se la causa dei suoi guai è immancabilmente la sua lingua lunga, è anche vero che sa abilmente districarsi, a parole, in ogni situazione.
Abbiamo il gangster, anzi ne abbiamo due. Uno, il Boss (Morgan Freeman), è a capo di un’organizzazione di neri, l’altro, il Rabbino (Ben Kingsley), comanda un gruppo di ebrei: il regista scozzese non si è fatto sfuggire l’occasione di ironizzare su due minoranze etniche ed è felice, a suo dire, di aver proposto per una volta criminali organizzati che non fossero italoamericani. Come se non bastasse, i due “pezzi grossi” sono in lotta tra loro: una rivalità di vecchia data, che risale a molti anni prima, quando gestivano assieme la criminalità della città. Qui McGuigan non ci annoia riproponendo pari pari il classico stereotipo del capo mafioso: riesce infatti nell’intento di presentare due personaggi sopra le righe, carismatici e particolari, senza però snaturarne l’essenza. Non manca certo l’ironia, nel delineare i due personaggi, che risultano volutamente esagerati e caricaturali, ma nemmeno li si potrebbe definire poveri di spessore psicologico o privi di motivazioni. E tuttavia non si discostano da quelli che sono i motivi della vendetta e dell’ambizione: basta un fatto scatenante, l’uccisione del figlio del Boss, a dare il via a una serie di eventi che porteranno, inevitabilmente, azione e colpi di scena. Complici un Morgan Freeman in forma ed un Ben Kingsley ispirato, infine, prende il via un confronto tra i due che ha del notevole.
Abbiamo, ancora, il “killer fuoriclasse” (cit.), il freddo e inamovibile Goodkat, interpretato da Bruce Willis, che, col suo tirare i fili della situazione, aggiunge nuovi enigmi a cui trovare risposta.
Enigmi che la “ragazza della porta accanto”, la vicina di casa dello sfortunato Slevin, non manca di analizzare, così come non si sottrae certo al ruolo che le impone di fare periodicamente il punto della situazione. Il ruolo è assegnato ad una insolita Lucy Liu, che, pur riuscendo nell’intento di risultare travolgentemente sbarazzina, non risulta purtroppo “esteticamente” adatta alla parte, con i suoi lineamenti seri e raffinati. Pecca, questa, ampiamente sorvolabile, complice anche la prova dell’attrice, nel complesso più che piacevole.
A completare il quadro, seppur relegati nel ruolo di “cornice” dello stesso, troviamo il detective (Stanley Tucci), che non si da mai per vinto e perseguita il protagonista, abbiamo i sottoposti stupidi con difetti di pronuncia o taciturni, e abbiamo il figlio gay del rabbino, perennemente circondato dalle sue guardie del corpo.
Tutti loro sono attori, volenti o nolenti, di questa vicenda, che, come precisa nell’incipit un enigmatico Goodkat, coinvolge molte persone, chi più, chi meno, ma sempre in modi che nessuno di loro potrà più dimenticare.

Noir che sa di fresco

Slevin - Patto Criminale, è un film che segue le orme noir di molti suoi predecessori, mantenendone le caratteristiche, ma allo stesso tempo riproponendole in chiave più fresca, ironica e sagace, anche grazie a brillanti dialoghi che ricordano tanto un certo Tarantino. Largo spazio è lasciato allo humor, ma i toni non si abbassano mai; la storia assume un carattere surreale, caricaturale, ma non per questo risulta meno vera; la narrazione si propone attraverso differenti registri, durante lo svolgimento, ma il film, seppur eterogeneo, non perde mai il filo del discorso. L’incedere della trama ha ben poco di lineare nel suo strizzare l’occhio a film come Pulp Fiction (seppur le vicende siano grosso modo esposte nell’ordine in cui avvengono), e, come già detto, il racconto varia col procedere del film, con toni a mano a mano sempre più incalzanti e drammatici, per raggiungere il culmine delle spiegazioni finali.
La regia non tocca mai livelli eccelsi, sebbene rimanga sempre su buoni standard: da segnalare a tal proposito alcune sbavature in scene particolarmente frenetiche, che vedrebbero l’alternarsi di diversi dialoghi e il compenetrarsi degli stessi, che non risultano alla fine scorrevoli come ci si augura. Anche il montaggio, a tratti, stona, e incappa in piccoli errori o ingenuità, come il susseguirsi di inquadrature che visivamente non soddisfano: tuttavia queste necessità estetiche sono stabilite dal film stesso, che può vantare una scenografia e una fotografia notevoli (le atmosfere anni '70, l’uso dei colori di grande impatto, l’utilizzo della computer grafica per rendere spettacolari alcuni passaggi, senza contare l’abile uso della telecamera, mai noioso o comunque banale), e che di conseguenza richiede una regia e un montaggio agli stessi livelli.
Se volessimo fare un’ultima critica, riguarderebbe l’utilizzo della bellissima colonna sonora, che risulta nel complesso sotto sfruttata, soprattutto dopo che aveva così piacevolmente ispirato la visione durante i trailer.

Slevin - Patto Criminale In definitiva, Paul McGuigan ha sfornato un piccolo gioiellino, complici anche i grandi che ha schierato. Una tecnica registica non originale, ma sfruttata nel complesso con perizia, ambientazioni azzeccate, e una sceneggiatura, anche se non unica, molto curata nei dettagli: ne risulta un film che, seppur esagerando nella definizione dei personaggi ed enfatizzandone gli stereotipi, li rende più complessi e apprezzabili da parte di una più vasta fascia di pubblico. Interpretazioni brillanti di attori indovinati sono il degno epilogo di un lavoro che rende quello di McGuigan un nome, se non da conoscere, almeno da non sottovalutare.

7.5

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