Recensione Sister

Il toccante legame tra due fratelli segnati da un pesante segreto.

Recensione Sister
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Orso d'argento speciale al festival di Berlino 2102, Sister (L'enfant d'en haut), opera seconda della regista francese Ursula Meier (che aveva già destato l'attenzione della critica con il suo primo lungometraggio Home) è l'affresco toccante e puro di un legame (di sangue) tanto conflittuale quanto inscindibile. Attorno alla metafora sociale di due mondi (quello ad alta quota dei ricchi, e quello a valle e periferico dei poveri) messi in comunicazione solo da un impianto di risalita, si muovono le due pesanti esistenze dei giovani protagonisti, tenute a galla dalla stoica volontà di sopravvivenza del più piccolo e destabilizzate dalla rabbia ribelle della maggiore. La Meier riesce con estrema delicatezza a insinuarsi nel cuore nevralgico di un'adolescenza (doppia) che deve fare i conti con la fame, con la solitudine e con la totale mancanza di affetti e di figure di riferimento (disperatamente ricercate all'esterno), e che reagisce a quelle mancanze in maniera diametralmente opposta. Lo scambio di ruoli tra chi dovrebbe prendersi cura (la grande) e chi di fatto lo fa (il piccolo) rimette in discussione la scala dei valori e la moralità delle azioni (ri)portando prepotentemente in primo piano lo straziante bisogno d'affetto che unisce questi due fratelli segnati da un pesante segreto.

Simon e Louise

Sulle soleggiate vette delle Alpi, in una stazione sciistica frequentata da danarosi vacanzieri, il dodicenne Simon ruba attrezzatura da sci ai ricchi per smerciarla in giro ad amici e conoscenti e racimolare il denaro sufficiente a mantenere sé e sua sorella Louise, una seducente e sbandata ragazza succube della propria bellezza e dello squilibrato rapporto con gli uomini. Grazie alla sua piuttosto redditizia ‘attività' il piccolo Simon cerca di negoziare l'affetto della sorella con i soldi che di volta in volta lui le riesce a garantire, senza comprendere che lo squilibrio del loro rapporto (radicato nel segreto che li unisce) è destinato a deflagrare da un momento all'altro, ripristinando la reale e totale mancanza di un sostegno adulto con il quale i due devono ogni giorno fare i conti.

Sopravvivere alla vita

Costruito tutto sul contrasto esistente tra la nevi candide sui cui sciano i ricchi e la grigia periferia in cui sono confinati i poveri, Sister sviluppa il suo malessere all'interno di due vite che si cercano ma non si trovano, o che fanno dannatamente fatica a trovarsi. I furtarelli di Simon e la libera attività sentimentale di Louise sono le due facce di una stessa disperazione, lenita solo (e in parte) dal cordone ombelicale che tiene insieme le loro fragili vite. La Meier tratteggia con trasporto e delicatezza il profilo irregolare dei due giovani protagonisti, sorprendentemente interpretati da Léa Seydoux (Louise) e Kacey Mottet Klein (Simon), che vedono riflessa l'una nell'altro il germe della loro sofferenza. E quel contatto (necessario) con il roseo mondo dei ricchi in fondo non fa che rendere ancora più grigio il colore delle loro esistenze, legate alla stagionalità di uno stato di sopravvivenza che li sfiora soltanto per poi abbandonarli di nuovo nella melma da cui provengono. Divisi dallo stesso legame che li unisce, Louise e Simon dovranno dunque compiere un percorso di ribellione nei meandri del loro dolore prima di comprendere che l'unica arma per rimanere a galla è quella di remare uniti e nella stessa direzione. Forza e fragilità convivono in egual misura nell'umile eroismo veicolato dai protagonisti di questo racconto di formazione denso e toccante, dove i silenzi e gli sguardi acquistano scena dopo scena tutta la forza di un segreto (troppo) ingombrante che va custodito a ogni costo.

Sister Sulle basi di una solidarietà e di un sostegno negati (dalla vita), Sister di Ursula Meier (Orso d’argento al festival di Berlino 2012) sviluppa il tema di un rapporto fragile e delicato, forte e indissolubile tra due giovani esistenze già gravate da responsabilità adulte. L’approccio delicato eppure viscerale con cui la Meier entra negli occhi e nel cuore dei suoi protagonisti rende omaggio al dramma insito nella storia senza tradurlo in una tragedia ruffiana di pietismo e commiserazione. Mai una lacrima scende a bagnare una storia in cui la dignità con cui ci si fa carico della propria, difficile condizione, basta a rinfrancare quella solidarietà e quel sostegno negati in partenza e poi riacciuffati - forse - in extremis con le unghie e con i denti. Come neve che svanisce al sole della bella stagione Ursula Meier scioglie mirabilmente i nodi di un rapporto che ha il diritto e il dovere di tornare a essere 'niveo'.

8

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