Silence, l'ultima tentazione di Scorsese: la recensione

Tratto dall'omonimo libro di Shusaku Endo, arriva al cinema Silence, il nuovo, desiderato, film del Maestro Martin Scorsese.

Silence, l'ultima tentazione di Scorsese: la recensione
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Nel Giappone del XVI Secolo i cristiani venivano banditi da Paese e gli adepti della religione cattolica erano succubi di una violenta repressione voluta dallo Shogunato Tokugawa al fine di evitare che il Sol Levante venisse completamente schiacciato dalla potenza dell'Occidente cattolico. È in questo contesto storico che è ambientato Silence, l'ultimo ed estremamente voluto film di Martin Scorsese - qui distante anni luce dal circo chiassoso di The Wolf of Wall Street - tratto dall'omonimo romanzo di Shusaku Endo che narra la storia di due preti gesuiti, Padre Rodrigues (Andrew Garfield) e Padre Garupe (Adam Driver), che partono alla ricerca del loro mentore, Padre Ferreira (Liam Neeson), di cui si sono perse le tracce da tempo.

Il silenzio della fede

Formalmente lontano nello stile dai film prettamente hollywoodiani di Scorsese, Silence va "catalogato" tra le opere più "sperimentali" del regista statunitense. Non è un caso, infatti, che il cineasta è dai tempi de L'Ultima Tentazione di Cristo che vorrebbe mettere in scena il potente plot del romanzo di Endo. Più simile nella maniacale compostezza delle immagini a pellicole come Kundun, L'Età dell'Innocenza e - appunto - L'Ultima Tentazione di Cristo, il film è forte di un protagonista, il Padre Rodrigues di Garfield, che tanto ha in comune con gli antieroi del grande schermo che Scorsese ci ha fatto conoscere nel corso della sua prolifica carriera. Come Charlie di Mean Streets, Travis di Taxi Driver, Frank di Al di Là della Vita e anche l'idolatrato Jordan di Wolf of Wall Street, il gesuita interpretato da un'impeccabile Andrew Garfield altro non è che un uomo borioso convinto di poter cambiare il (suo) mondo per poi diventare una vittima tra le vittime del mondo reale. Pregno di immagini allegoriche, di funzionali estetismi e - a tratti - eccessivamente verboso, Silence è che una spettacolare, lenta e cruenta Via Crucis - tanto fisica quanto interiore - di un Cristo che non mette in discussione la sua fede ma piuttosto si ritrova a dover soppesare l'importanza dell'evangelizzazione in un contesto in cui la Parola di Dio diventa negazione stessa della misericordia e dove il silenzio (e quindi l'interiorizzazione della fede) è forse la vera arma da usare contro chi, a torto o a ragione, vede nella Buona Novella una minaccia per la sua identità culturale. Una pellicola attualissima , in un certo senso più politica che religiosa, Silence è un'opera della settima arte a cui sicuramente non è facile approcciarsi ma che è in grado di regalare agli spettatori una merce rara di questi tempi: diversi punti di vista e spunti di riflessione.

Silence Dopo tanti anni Martin Scorsese è riuscito a portare sul grande schermo il romanzo di Shusaku Endo, Silence. Il cineasta, in questa pellicola dell’impeccabile ed essenziale estetica la cui eccellenza visiva è dovuta anche alla fotografia Rodrigo Prieto e dai costumi e la scenografia di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, si è liberato per un attimo dalle sue bizzarrie registiche per mettersi alla mercé di un racconto lungo ma essenziale. Una Via Crucis che narra principalmente il percorso di un uomo (che non è poi così diverso dagli uomini precedentemente raccontati da Scorsese) verso un nuovo, intimo e silenzioso, concetto di “fede”.

8

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