Seven, la recensione del thriller cult di David Fincher

Una coppia di detective indaga sugli omicidi, legati ai peccati capitali, commessi da un serial killer in Seven, thriller con Brad Pitt e Morgan Freeman.

Seven, la recensione del thriller cult di David Fincher
Articolo a cura di

Il giovane e ambizioso detective Mills, appena trasferito, è chiamato a far coppia con l'anziano ed esperto collega Somerset, prossimo alla pensione da lì a pochi giorni. La loro collaborazione inizia seguendo le indagini sui delitti commessi da un serial killer, che sceglie le sue vittime e il barbaro metodo per ucciderle seguendo un filo conduttore legato ai sette peccati capitali: gola, avarizia, accidia, lussuria, superbia, invidia e ira. Dopo le iniziali incomprensioni i due investigatori trovano un rodato affiatamento che permette loro di indirizzarsi sulla giusta pista, scoprendo come lo psicopatico segua in realtà una precisa logica nella sua brutale mattanza...

Questione di stile

Il thriller simbolo degli anni '90, capace di adattare le regole del noir classico ad un cinema moderno e ricco di sfumature drammatiche, lasciando scorrere l'energia filmica in una progressiva escalation di tensione morale che trova una perfetta e machiavellica chiusura nel leggendario finale, pura pagina di estatica amarezza che eleva oltre ogni previsione il significato di colpo di scena. In Seven David Fincher pone il pubblico di fronte ad un incubo ad occhi aperti, immergendolo nel torbido della vicenda attraverso la stessa costruzione fotografica e ambientale: la città senza nome in cui è ambientata la vicenda è infatti una Los Angeles volutamente incupita e schermata su tonalità visive e morali profondamente desolanti, specchio di un luogo in cui dominano solo dolore e violenza. Non è un caso che i personaggi secondari o terziari siano lasciati volutamente in uno spento sfondo e i campi larghi, tolto l'epilogo, risultino praticamente assenti, lasciando esplodere in questo modo il perenne disagio dei protagonisti, adeguato alla narrazione tramite dettagli più o meno incisivi: basti pensare alla costante vibrazione eguagliante un piccolo terremoto che colpisce la casa dei coniugi Mills, causata dalla vicina metropolitana, simbolo e sintomo di un adattamento forzato e a posteriori nefasto.

Il diavolo sta nei dettagli

Fincher mette in scena al meglio il mood della vicenda facendo germogliare con i giusti tempi il rapporto tra i due detective, diversi per spirito e carattere ma pronti a tutto pur di mettere le mani sul serial killer, e costruisce la predominante componente relativa alle indagini con una costruzione millimetrica delle diverse dinamiche in gioco, non nascondendo nulla (tra autopsie e cadaveri orribilmente mutilati) ma evitando di eccedere in un grand guignol gratuito, restituendo al racconto una fine sobrietà d'intenti in cui ogni dettaglio si colloca armoniosamente al proprio posto, facendo brillare di luce propria la sceneggiatura di Andrew Kevin Walker, ed optando per l'effetto sorpresa sull'identità dell'assassino, non solo nella genesi filmica ma anche in quella promozionale: se oggi tutti infatti sappiamo che è Kevin Spacey a prestare il sardonico e cinico volto a John Doe, ai tempi dell'uscita in sala fu una rivelazione in quanto il suo nome fu volutamente tolto dai crediti iniziali e dalle locandine. Le stesse influenze thriller sono virate ad una crepuscolare quiete precedente la tempesta e solo una scorribanda action, lunga e di magistrale organizzazione registica, fa capolino nelle due ore di visione, lasciando al clima psicologico centrale il modo di ampliare l'istinto empatico della storia.

Sette giorni

Una crime story in cui sono già profondamente connotati i dogmi autoriali del cineasta, pregna di un malsano ed avvolgente nichilismo in cui i due protagonisti sono via via sempre più risucchiati, incapaci di risalire la corrente di fronte ad un'ondata impetuosa di tenebra. Sette capitoli per sette giorni che danno vita ad una settimana da cui niente e nessuno uscirà come prima, in una sorta di visione apocalittica sul decadimento dei tempi priva di speranza per un possibile futuro, o anche solo un misero lieto fine, giostrata già in maniera intelligentemente subdola fin dai titoli di testa, contenenti indizi su quanto avrà da lì in poi a venire, un trucco anticipatore del più marcato espediente del successivo Fight Club (1999). Un vero e proprio rompicapo claustrofobico in cui il confine fra Bene e Male diventa sempre più sottile, come diabolicamente espresso dagli incisivi dialoghi del serial killer, unico vincitore in un mondo di vinti, nell'angosciante resa dei conti finale. Seven è un perfetto titolo cerniera che scorre dai suoi estremi senza mai incepparsi, lenta deflagrazione della morale in teatro umano rabbiosamente dark che non lascia scampo ai moderni don Chischiotte e Sancho Panza di Brad Pitt e Morgan Freeman (rigorosamente impeccabili nella loro complementare dualità di ruoli), costretti a lottare contro i mulini a vento in una tempesta sempre più irrefrenabile.

Seven Un'ambientazione cupa e senza speranza fa da sfondo alle indagini di due detective, l'opposto l'uno dell'altro non solo caratterialmente, che indagano su un imprendibile serial killer che uccide le proprie vittime seguendo un malato ordine legato ai sette peccati capitali. Seven, thriller simbolo degli anni '90, è un film chirurgicamente perfetto e implacabile, costruito su tonalità dark e nichiliste in ogni suo singolo dettaglio narrativo e inquadratura, in cui l'inquietudine della macabra vicenda si lega ad un'estetica moderna in cui David Fincher mette già a frutto i germogli del suo ormai iconico stile, sublimando la violenza in un poliziesco che si prende i suoi giusti tempi nell'accompagnare, quale torbido sussurratore, alla magistrale rivelazione finale, vero e proprio colpo di genio della sceneggiatura di Andrew Kevin Walker, trovando ideale appoggio empatico nelle sfumate performance di Brad Pitt, Morgan Freeman e della "sorpresa" Kevin Spacey.

8.5

Che voto dai a: Seven

Media Voto Utenti
Voti: 21
8.5
nd