Recensione Scrivimi una Canzone

Musica e parole, ovvero Hugh Grant e Drew Barrymore

Recensione Scrivimi una Canzone
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Una volta, nei secoli passati, il sapere e la sua diffusione erano cose assai più complesse di quanto non siano oggi. Venire pubblicati era improbabile, le difficoltà per arrivare al pubblico enormi. Si pensa sempre a questo come un qualcosa di negativo, se rapportato all’era presente, dove tutto arriva a tutti. Ma la massificazione dei mezzi di comunicazione non significa necessariamente un miglioramento nella qualità di ciò che viene trasmesso. Prova ne è il patinato mondo delle star, vittima e carneficie del consumismo più spietato. Ciò che il pubblico vuole viene sfruttato e venduto a dovere, per poi essere gettato via quando qualcosa di migliore (concetto alquanto relativo di questi tempi) o più innovativo fa la sua comparsa. Non conta ciò che hai da dire, conta solo se la gente è disposta ad ascoltarlo. Il ruolo formativo dell’arte (sia essa cinema, musica, teatro o quant’altro) viene meno per far posto a fantastici contenitori vuoti, pieni solo di ciò che fa audience. Aveva ragione Darwin, quando sosteneva che evolversi non sempre coincide con migliorare.

I favolosi anni ’80... O erano ’60? ... Uff...

Hugh Grant interpreta Alex Fletcher, un ex pop star anni ’80, che in seguito lo scioglimento del gruppo non è più riuscito ad emergere come solista. Gli anni passano e mentre Alex tenta di sbarcare il lunario con spettacolini per nostalgiche 40enni, sul jet set iniziano a comparire e ad avvicendarsi le pop star del terzo millennio. Una di esse, Cora Croman, un’eccentrica cantante in perenne lotta con Shakira e Cristina Aguilera, deciderà di dare una chance di ritorno ad Alex. Il suo compito sarà scrivere per lei una canzone che parli dell’amore, che in seguito i due interpreteranno insieme. Alex accetta senza riserve, ma l’impresa si rivela tutt’altro che semplice; dove non potrà la sua esperienza ventennale ci penserà il talento della deliziosa Sophie Fisher (Drew Barrymore), “innaffiatrice” di piante nonché scrittrice mancata, assunta da Alex prima per curare la sua flora domestica, poi per comporre insieme a lui il pezzo che segnerà (forse) il suo ritorno sotto i riflettori.

Il fulcro della commedia è la contrapposizione tra una visione scherzosa del business della musica anni ’80, iconizzata dalla figura di Alex Fletcher e dei POP! (gruppo a cui Fletcher apparteneva) e quella di oggi, incarnata da Cora Corman. Se da un lato è assolutamente uno spasso vedere Hugh Grant con quelle tipiche pettinature ovattate mentre canta e fissa la telecamera, dall’altro mette quasi un certo sgomento l’assoluta serietà con cui Cora prende se stessa e il suo lavoro, mischiando uno new age fai-da-te con balletti orgasmici degni della migliore (o peggiore) Christina Aguilera. Osservando lei e Fletcher insieme si ha quella tipica sensazione di vecchio e nuovo, ma anche di una presunta “innocenza” perduta: Alex è un tipo che vive la vita senza pretese, una persona semplice che non rimpianti per ciò che ha fatto o avrebbe voluto fare; Cora invece è ossessionata dalle hit parade, dagli scontri con Shakira (a cui assomiglia in un modo stranamente “concertato”) a colpi di singoli venduti.
La sceneggiatura della commedia è strutturata nei tipici “discorsi monologo”, sequenze parlate in cui i singoli personaggi intersecano i propri monologhi, detti quasi a denti stretti come un pensiero ad alta voce, creando all’apparenza dei discorsi sgangherati, ma spesso molto esilaranti. Piacevole per gli amanti delle commedie come “I perfetti innamorati”.

Si è parlato molto di questo film come una prova di forza per Hugh Grant: cantare, ballare e recitare. Anche se non ho particolari competenze come critico musicale, ritengo che Grant risulti assolutamente credibile nel suo ruolo, in particolar modo nella sua versione anni ’80. Chiunque abbia un minimo di conoscenza di quegli anni non potrà non notare una straordinaria naturalezza nelle movenze e negli atteggiamenti, con un senso di déjà vu a testimonianza della grande prova da lui sostenuta. Se siete giovani e stentate a credere a ciò che dico, date un’occhiata a video come “Take on me“, degli A-Ha, e capirete ciò che intendo.
Drew Barrymore dal canto suo è in linea con le sue solite interpretazioni. Non brilla particolarmente, ma riesce a dare quel tocco di ragazza della porta accanto che si integra perfettamente nel contesto “cantante d’esperienza allo sbaraglio”, e anche se i suoi scambi di battute con Grant non risultano in tutte le occasioni spontanei e freschi quanto dovrebbero, non compromettono assolutamente la godibilità del film. Il duetto formato dai due è decisamente azzeccato, e benché il cinema abbia visto coppie sicuramente più riuscite della loro, ciò nulla toglie alla notevole affinità che si percepisce tra i due. Non per niente il titolo originale del film, “Music and Lyrics” (brutalmente storpiato in “Scrivimi una canzone”), è volto proprio a sottolineare la dualità intrinseca della musica, considerando il valore di quest’ultima proporzionale al grado di affinità tra le parole e la melodia. Esattamente come l’amore tra un uomo e una donna è il frutto della sintonia tra questi ultimi.

Scrivimi una canzone Un film divertente, con un protagonista divertente. Grant ce la fa, e ciò che di buono ha questo film è in gran parte frutto del suo talento. Drew Barrymore fa la sua parte in un ruolo collaudato, ma non è così indispensabile come dovrebbe. Per il resto non c’è molto da dire, la commedia riesce bene, ma senza picchi memorabili.

6.5

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