Sandy Wexler: la recensione del film con Adam Sandler su Netflix Recensione

L'accordo tra il comico e la piattaforma di streaming sforna un nuovo film, più innocuo e simpatico ma comunque non del tutto riuscito.

Sandy Wexler: la recensione del film con Adam Sandler su Netflix Recensione
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Quando Adam Sandler ha firmato un contratto di esclusività con Netflix, a base di quattro film e successivamente esteso a otto (con l'aggiunta di The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach, che sarà presentato in concorso al Festival di Cannes tra un mese), una parte della comunità cinefila ha tirato un sospiro di sollievo nella consapevolezza che, per un po' di anni, il veterano di Saturday Night Live sarà per lo più assente dal grande schermo (l'eccezione è costituita dal franchise animato Hotel Transylvania, dove lui presta la voce a Dracula in originale). D'altro canto la sua presenza sulla piattaforma di streaming non accresce sul piano artistico il valore del catalogo di produzioni originali di Netflix, già non propriamente eccelso di suo (almeno per quanto riguarda i film di finzione) e ora ulteriormente appesantito da prodotti allegramente volgari e gratuitamente cattivi come The Ridiculous 6. C'erano quindi buoni motivi per temere l'arrivo di Sandy Wexler, terzo episodio del filone, dove Sandler la fa ancora una volta da padrone con comportamenti infantili e una voce ridicola.

Vivere e morire a Hollywood

Sandy Wexler è la storia dell'omonimo manager dei VIP, basato su un personaggio reale e raccontato tramite una cornice narrativa fatta con le testimonianze di varie celebrità, tra cui vari sodali di Sandler come Henry Winkler, David Spade e Judd Apatow. E in mezzo a tutto ciò c'è l'attore/produttore/sceneggiatore, avatar cinematografico della sindrome di Peter Pan, che gigioneggia come solo lui sa fare, rifiutando spudoratamente di crescere sul piano professionale (almeno per quanto riguarda i film che i suoi fan vanno a vedere, poiché prodotti più maturi come Ubriaco d'amore e Funny People hanno fatto una brutta fine al botteghino). Ma in questo caso le smorfie e la voce insopportabile sono al servizio di un racconto più classico, vicino alla commedia romantica, senza quelle trovate scatologiche e/o gratuitamente provocatorie che hanno caratterizzato gran parte della recente produzione sandleriana (basti pensare a That's My Boy e le sue gag sull'incesto). In questo contesto più innocuo la performance quasi fanciullesca del protagonista riacquista quel certo charme che aveva agli inizi della carriera, e rende complessivamente più sopportabile l'esperienza netflixiana.

Risate, dove siete?

Detto ciò, siamo ancora lontani dai fasti di Billy Madison o Happy Gilmore, dove la banalità di scrittura riusciva comunque a partorire dei siparietti simpatici grazie al carisma comico di Sandler. Qui la buona volontà non basta, con pochissime gag veramente divertenti sparpagliate in vari angoli di un film che è anche erede dell'unico difetto della produzione di Judd Apatow: la durata eccessiva (oltre due ore), resa ancora più difficile da digerire dal fatto che le risate più corpose arrivano proprio durante i titoli di coda. Per i fan duri e puri forse potrà bastare, mentre per gli scettici può essere, al massimo, la promessa di un ritorno a quella leggerezza innocente che un suo fascino ai tempi lo aveva. L'unico interrogativo è: tale promessa sarà mantenuta? Appuntamento al prossimo anno...

Sandy Wexler Al terzo giro su Netflix, Adam Sandler accantona le sue abitudini comiche recenti a base di goliardia e provocazioni sterili per tornare all'innocenza delle origini. L'operazione non riesce del tutto, a causa di una scrittura troppo povera di gag veramente efficaci, ma per chi non sopporta il Sandler degli ultimi anni può comunque essere un'esperienza minimamente gradevole.

6

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