Recensione Room

Dal successo letterario della scrittrice Emma Donoghue (che firma anche la sceneggiatura del film), Lenny Abrahamson dirige Room, un potente dramma che sfrutta il senso di una prigionia indotta, per riflettere sul vero senso della libertà.

Recensione Room
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Jack ha cinque anni, appena compiuti, e non ha nemmeno avuto la possibilità di spegnere le sue candeline. Come ogni bambino della sua età, Jack vive con sua madre, ribattezzata, nella particolare fisionomia affettiva di una esclusiva vita a due, la "sua" Ma. Il loro è infatti un vivere circoscritto all'interno di nove metri quadri di una stanza (Room, in realtà un capanno), divenuta il loro unico spazio e l'unico mondo che Jack abbia mai conosciuto. Una room senza alcuna vista. Un mondo dove l'unica proiezione di una realtà diversa è data dalle immagini trasmesse dalla televisione o dalla fantasia. Un'esistenza di fatto claustrofobica e asfissiante, eppure fatta di quelle piccole convenzioni, rituali, condivisioni, che solo una madre e un figlio possono avere. Piccoli elementi che hanno trasformato la realtà orribile nella quale (di fatto) si trovano, nella sinfonia di un rapporto estremamente armonico e quasi invincibile. Un rapporto madre-figlio che ha subito la metamorfosi restrittiva di quello spazio angusto per tradursi in una vera e proprio simbiosi emotivo/affettiva, dove la salvezza di entrambi è legata al sottile equilibrio dettato dello stato di cose, ma anche al profondissimo legame che unisce il sangue al proprio sangue. Il mondo esterno Jack non lo conosce perché non lo ha mai visto, né sperimentato, tutti i suoi amici sono immaginari (incluso il cane che sogna di avere), e la sua vita di bambino vive uno sfasamento tra realtà reale e realtà percepita che solo il contatto con il mondo vero potrebbe ‘guarire'. Per sua madre invece è diverso, a lei la vita del mondo reale è stata strappata d'improvviso e senza possibilità d'appello. La fuga dal quel luogo carcere sembra, dunque, l'unica via possibile. Eppure, per entrambi, la salvezza riservata da un auspicabile e ritrovato contatto con il mondo esterno, potrebbe non essere una strada così facile verso il sogno di una ritrovata libertà.

Room with(out) a view

Lenny Abrahamson, regista irlandese divenuto famoso in patria soprattutto per aver firmato alcune black comedy di successo, sembra riconfermare con Room quelli che erano stati i punti chiave del successo dell'opera precedente Frank, ovvero il ritratto di un musicista incompiuto e nascosto dietro la maschera del proprio volto. In Room, la forza dirompente del romanzo scritto (pubblicato in Italia da Mondadori con il titolo Stanza, letto, armadio, specchio) e riadattato per il grande schermo da Emma Donoghue, diventa (pur con ambientazioni e tematiche differenti) un altro modo per sondare il terreno delle paure umane e del coraggio, in una dimensione affettiva capace di dar vita a un vero e proprio thriller emotivo dai risvolti controversi. La storia di una madre e un figlio che fanno della loro prigionia un mondo personale nel quale coltivare un rapporto unico, rappresenta infatti in quest'opera lo strumento per sondare la differenza tra la sicurezza che può dare una realtà orribile eppure nota, e la paura, lo smarrimento che possono invece generarsi nell'incertezza di un mondo in qualche modo sconosciuto, fatto di convenzioni e sistemi che non si conoscono o non si (ri)conoscono più. La potenza narrativa del film di Abrahamson è data non soltanto da una scrittura capace di creare la giusta alternanza di registri in un crescendo drammaturgico che sposta il suo codice dal thriller al dramma psicologico facendo leva sul perno emotivo del rapporto fondante, ma anche dalle solide interpretazioni offerte dai due protagonisti di questa storia. Una madre (Brie Larson) ingegnatasi pur di garantire a suo figlio il miraggio di una vita "normale", e un figlio (Jacob Tremblay) pronto a tutto pur di preservare la vita della propria Ma. Una profonda e per certi versi inquietante riflessione sulla nostra libertà e sui condizionamenti creati da una realtà che non sempre ci appare per quello che realmente è.

Room Dopo l’apprezzato Frank, Lenny Abrahamson firma con Room un film coeso e potente, dove il dramma di un rapporto madre-figlio segnato da una condizione di vita assai particolare, diventa il mezzo per analizzare e affrontare numerose tematiche esistenziali. L’estrema crudeltà di una prigionia forzata, la capacità d’evasione regalata dall'immaginazione, infine la difficoltà insita nell'affrontare una realtà per lungo tempo sognata eppure, assai difficile da riconquistare.

8

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