Recensione Robocop 2

Alex "Robocop" Murphy torna a far rispettare la legge nel pasticciato sequel del cult di Verhoeven, titolo violento e improbabile diretto da Irvin Kischer e più vicino al mondo dei b-movie.

Recensione Robocop 2
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Come spesso accade, i sequel assai difficilmente eguagliano la qualità del capostipite. Destino toccato anche a Robocop 2, che pur partiva con delle buone potenzialità. Dovendo fare a meno di Paul Verhoeven, impegnato in quel periodo con le riprese di un altro cult come Atto di forza, la produzione decise di affidare la regia ad Irvin Kershner, reduce da due titoli di peso come L'impero colpisce ancora (1980) e il Mai dire mai bondiano (1983). Se dietro la macchina da presa vi era quindi una certa affidabilità, anche la sceneggiatura, almeno agli stadi iniziali, faceva presagire ben altri risultati: lo script originale infatti venne curato nientedimeno che da Frank Miller (che compare anche come attore in una particina). La storia però fu completamente riscritta e rimase ben poco di quanto in principio previsto, dando vita ad un secondo capitolo che perde, e male, sotto ogni punto di vista il confronto con l'originale.

Robocop colpisce ancora

La città di Detroit è in preda all'anarchia: con la polizia che non riceve gli stipendi da mesi e molti agenti in sciopero, i criminali sono liberi di dar sfogo ad incredibili ondate di violenza. Robocop e la sua collega Anne Lewis continuano però imperterriti il loro ruolo di tutori della legge e stanno dando la caccia a Cain, un pericoloso "santone" che, ergendosi a figura divina, diffonde un pericoloso stupefacente chiamato Nuke, vera e propria droga a buon mercato che sta invadendo le strade. Il cyborg viene però catturato e smembrato, permettendo alla OCP di riprogrammarlo secondo le proprie direttive. E nel frattempo la multinazionale sta sviluppando Robocop 2, un nuovo prototipo ancora più infallibile e letale, con il quale spera di assicurarsi il controllo della città.

Dalle stelle alle stalle

Come trasformare un personaggio cult in un'improbabile macchietta più consona ai b-movie di genere: impresa perfettamente riuscita a Kershner e alle menti che hanno partorito la sceneggiatura definitiva di Robocop 2. Per carità, il regista fa quel che può cercando di salvare il salvabile, e alcune sequenze action hanno anche un certo fascino, ma le quasi due ore di visione non mantengono un minimo della magia dell'opera precedente. In una storia nella quale gli unici personaggi "puri", oltre alla maggior parte degli agenti di polizia (comunque sempre secondari in quest'occasione), rimangono il metallico cyborg e la sua collega, vi era la possibilità di sbizzarrirsi nella gestione dei numerosi villain, più o meno ambigui che fossero. Ma l'introduzione della figura del bambino cattivo toglie qualsiasi credibilità al contesto, per di più cavalcando l'onda del trash nella realizzazione di Robocop 2, macchina-cervello dal design che sfiora lo scult. E se i boss della multinazionale rimangono comunque individui deplorevoli legati solo al tornaconto personale, a mancare totalmente è quella graffiante vena satirica che dominava, anche sottotraccia, nel capostipite; gli stessi post pubblicitari di questo prossimo futuro, pensati sulla scia del primo episodio, peccano di qualsiasi originalità. A screditare maggiormente il valore complessivo dell'operazione è una violenza gratuita che pare cercata più per shockare il pubblico che per un reale motivo narrativo. Ciliegina finale sulla torta la nuova colonna sonora, talmente anonima da provocare sbadigli.

Robocop 2 Da icona a caricatura in un passaggio di testimone a posteriori assolutamente sbagliato. Kershner, che pur aveva fatto entusiasmare milioni di spettatori col secondo capitolo della trilogia classica di Star Wars, non sembra mai a suo agio in una sceneggiatura che punta sulla violenza in una narrazione trash che spreca villain potenzialmente interessanti. Robocop 2 è un mix stantio di idee mescolate a casaccio, al quale non bastano una manciata di buone sequenze action per trovare una propria ragion d'essere, ignorando inoltre gli sviluppi introspettivi sulla dicotomia uomo-macchina introdotti dal predecessore.

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