Recensione Ring

Il primo episodio della trilogia j-horror di Hideo Nakata

Recensione Ring
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Il 1997-1998 è un biennio importante per il cinema giapponese. Escono infatti due film fondamentali, Cure di Kiyoshi Kurosawa e Ring di Hideo Nakata, il cui successo scatena quella che diverrà presto una vera e propria moda internazionale, fatta di sequel, remake hollywoodiani e altro ancora. Il pubblico occidentale non strettamente cinefilo scopre finalmente il mondo del cinema horror giapponese, conosciuto in breve tempo come j-horror e popolato da pallide fanciulle dalle vesti bianche e lunghi capelli neri davanti al viso. Sono gli yūrei, ovvero anime ancorate al mondo terrestre in seguito a morti improvvise e violente. Tra queste le più pericolose sono gli onryō, spiriti rimasti sulla Terra per placare un infinito desiderio di vendetta. L'orrore e la violenza che caratterizzano le loro morti sono come un virus implacabile che le condanna ad una non-vita eterna, pregna di cieco odio e sofferenza. Mentre Cure di Kurosawa apre nel 1997 la nuova stagione del genere con un'interpretazione più autoriale e ricercata, Ringu di Nakata è il film che l'anno successivo sancisce il successo internazionale degli onryō. Tratto dal romanzo di Koji Suzuki, l'opera di Nakata è infatti l'inizio di una moda che si estende di remake in remake, trasborda in manga e televisione, dando vita a saghe analoghe come quella di Takashi Shimizu, autore del dittico televisivo Ju-on e Ju-on 2 e delle sue tante reinterpretazioni ed estensioni.

sette giorni

Oggi l'impatto di questi algidi fantasmi dai corpi femminili e sofferti pare essersi allentato, ma di certo la stagione fortunata del j-horror ha lasciato dietro di sé tanti nuovi appassionati e film preziosi. Tra questi uno dei migliori è proprio Ring. Protagonista del film è la giovane giornalista Reiko Asakawa, che indagando sulla morte inspiegabile della nipote scopre una catena di orrori accomunati da quella che sembra una leggenda metropolitana. Al centro della storia vi è una videocassetta maledetta, capace di scatenare sul malcapitato spettatore una condanna mortale. Dopo la visione restano infatti soltanto sette giorni di vita, prima che una morte orribile vada a placare l'odio di una forza sovrannaturale. Indagando, Reiko riesce a trovare la famosa cassetta, cadendo anche lei nella maledizione. Aiutata dall'ex marito, non avrà altra scelta che indagare sull'autore del terribile filmato, sperando così di trovare un modo per sfuggire alla fine cui sembra condannata.

eterno ritorno

Ispirato alla storia del folklore giapponese di Bancho Sarayashiki, Ring rielabora temi tipici della cultura popolare nipponica, dall'onryō della giovane Sadako alla figura del pozzo, elemento ricorrente in questo tipo di racconti in quanto visto come canale capace di collegare il mondo dei vivi a quello dei morti. Ma non solo, perché il destino a cui è stata condannata la ragazza uccisa appartiene ormai al sotterraneo, al rimosso, dal quale riemerge assetata di cieca vendetta. In questo senso il pozzo diventa una figura dallo spessore quasi psicanalitico, dimensione cui fa riferimento del resto il titolo stesso del film. L'anello infatti è il bordo del pozzo visto dal basso, dalla soggettiva cui è condannata Sadako una volta precipitata al suo interno, ma anche il simbolo evidente di un eterno ritorno, del ripetersi di un'azione in un ciclo senza fine (time is a flat circle?). L'odio che anima Sadako la costringe così a ripetere sempre la stessa spirale di vendetta, e non a caso l'unico modo per sfuggire è proprio l'atto di copiare la cassetta, per garantire così il propagarsi della memoria della giovane.

Fedele alla tradizione j-horror, Ring è un horror psicologico refrattario all'esibizione del gesto violento, dell'orrore plateale. La tensione del film monta lentamente, scena dopo scena, scandita dall'incidere irreversibile del tempo e l'avvicinarsi della scadenza della maledizione. A favorire questo senso di terrore glaciale è lo stile secco e geometrico di Nakata, che dosa gli elementi più spaventosi preferendo un senso di angoscia generale alla spettacolarizzazione dell'orrore. Sarà solo nel finale, con la celebre fuoriuscita di Sadako dalla televisione, che il rimosso torna prepotentemente sulla superficie e l'immagine della donna domina finalmente l'inquadratura, invadendola in tutto il suo terrore.

Ring Tra i responsabili della grande diffusione conosciuta dall'horror giapponese sul finire del millennio, Ring di Hideo Nakata è un brillante esempio di j-horror incentrato sugli onryō, spiriti della vendetta del folklore nipponico. Fedele alla tradizione, il film di Nakata dosa gli elementi più spaventosi preferendo un senso di angoscia generale alla spettacolarizzazione dell’orrore. Un ottimo punto di partenza per esplorare il terrificante mondo dell'horror giapponese.

7.5

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