Recensione Revenant - Redivivo

Il Premio Oscar Alejandro González Iñárritu consegna a pubblico e critica la sua nuova, personalissima, opera, una storia di sopravvivenza e vendetta che punta tutto su arte ed estetica.

Recensione Revenant - Redivivo
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La storia del trapper ed esploratore Hugh Glass ha assunto, nel corso di due secoli, i contorni di una vera e propria leggenda della frontiera americana, ispirando varie figure letterarie e pellicole per il cinema, tra cui Uomo bianco, va' col tuo dio! (Man in the Wilderness) del 1971. Nel 2002 Michael Punke dà alle stampe The Revenant: A Novel of Revenge, romanzo che da subito desta interesse a Hollywood e che doveva diventare un film per la regia di un Park Chan-wook pre-Oldboy. Devono passare più di dieci anni, però, perché il progetto di Revenant - Redivivo prenda forma definitiva, grazie al Premio Oscar Alejandro González Iñárritu che se ne fa carico e scrittura, nella parte principale, un intenso (e determinato a far suo ogni possibile premio esistente!) Leonardo DiCaprio nei panni di una ferale guida delle lande selvagge che ha perso tutto, tranne il desiderio di vendicarsi. Durante una rocambolesca fuga da una tribù di nativi americani, difatti, Glass rimane gravemente ferito e, lasciato insieme al figlio alle cure della recluta del gruppo di cacciatori Jim Bridger e al veterano John Fitzgerald, si ritrova presto seppellito vivo, tradito dal suo compagno di ventura, a piangere l'assassinio del figlio. Stremato ma miracolosamente ancora in vita, il nostro parte alla ricerca di chi gli ha fatto il torto più grande con un solo pensiero in testa: sopravvivere almeno finché non avrà avuto la sua vendetta.

"Non ho più paura di morire: sono già morto una volta"

Che non sia un tipo qualunque, Iñárritu, l'abbiamo sempre saputo e, con Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza) lo aveva certamente confermato: un film imperfetto, retorico, anche banale nelle sue conclusioni, ma avvolgente, coinvolgente, tecnicamente sbalorditivo e ricco di interpretazioni straordinarie e personali. Revenant, per certi versi, ne è un'evoluzione minimalista, astratta, sanguigna, che non fa sconti e non ha interesse nel divertire o intrattenere lo spettatore, quanto nel rappresentare due semplici istinti: quello alla sopravvivenza e quello alla rabbia. È un survival movie con accenni (e un'esplosione finale) di revenge movie, ma nonostante la regia tenga a porre lo spettatore sempre al centro della scena, non c'è l'impressione di "vivere" la storia come succedeva in Birdman, quanto di "subirla" in tutta la sua abbacinante bellezza e crudezza naturale. La storia è ridotta all'osso, e pur con le aggiunte e le romanzature cinematografiche quel che resta è davvero cosa da poco, soprattutto a fronte di personaggi caratterizzati il minimo indispensabile, banali archetipi privi di segni distintivi o battute memorabili. Lo stesso DiCaprio, nell'arco di due ore e mezza di film, vanta ben poche battute, ma in compenso esibisce uno straordinario repertorio di mugolii e rantoli, dato che il suo personaggio ha decisamente poco da dire ma molto da soffrire. Il valore aggiunto dell'opera sta tutto nel comparto artistico/tecnico: le interpretazioni dei suoi protagonisti sono eccellenti, a partire naturalmente dall'eterno inseguitore dell'Oscar Leo a Tom Hardy nei panni della sua nemesi, passando per i comprimari Domhnall Gleeson e Will Poulter. C'è, poi, la confezione tecnica, che è un gioiellino maestoso e splendido quanto autoreferenziale, tra la bellezza estrema (e ripresa nella sua selvaggia autorevolezza) della Natura e movimenti di camera tra i più ricercati e complessi, scanditi dalle delicate note di Ryuichi Sakamoto.

Revenant - Redivivo Revenant - Redivivo presenta allo spettatore una grandiosa messinscena, con uno spettacolo di rara (ma crudele) bellezza, realizzato con una perizia tecnica sopraffina e impreziosito da due protagonisti che danno il 100% - e a tal proposito, c'è da spezzare una lancia nei confronti di Tom Hardy, che cresce sempre di più ad ogni film ed è eccezionale quando interpreta figure ambigue. Il tutto però rimane asettico, filtrato attraverso lo sguardo dell'arte, non coinvolgendo davvero, anzi tendendo a stremare lo spettatore, trascinato per 156, sforbiciabilissimi, minuti, a seguire le vicende (fin troppo romanzate) di personaggi bidimensionali a cui la maestria dei loro interpreti e il tocco del regista può dare forma, ma non vera vita.

6.5

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