Recensione Rent a family INC.

Ryuichi Ichinokawa ha fondato un'impresa con cui affittare felicità e controfigure sociali, e...

Recensione Rent a family INC.
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Ecco un film, o meglio un documentario, di quelli che non ti aspetti di trovare tutti i giorni: i nipponici ci hanno abituati a una gran quantità di stravaganze, e la freschissima competizione veneziana ce l’ha in parte ricordato (tra i titoli nipponici al Lido, imperdibile Why don’t you play in hell?). Ma è alla diciottesima edizione di un festival di tutt’altro smalto, il Milano Film Festival, che troviamo un’opera davvero curiosa.

Ryuichi Ichinokawa si è inventato un lavoro insolito: vende affetto, anzi: lo mette in affitto. Il suo sito web I Want To Cheer You Up contiene tutto il regolamento e le informazioni di questo mestiere e di come richiederne i servizi. In genere viene “affittato” dal cliente per fingersi padre, marito, fratello, zio, ma spesso anche migliore amico. Difficile capire come possa funzionare un lavoro simile se non si hanno in mente i rapporti sociali giapponesi e la loro società: precetti talvolta antiquati, una disciplina rigida e l’infilarsi in quella nicchia di distorti rapporti sociali che sono l’apice delle relazioni disfunzionali in Oriente. Così capita anche di dover assumere fino a 32 collaboratori per partecipare a un matrimonio a Sendai “costruendo” da zero famiglia, amici e parenti della sposa.

WHY DON'T YOU CHEER UP

Il documentario, per tutti i suoi 75 minuti di durata, strappa molte risate. Ma è una risata straniante, grottesca: più che da una sommessa comicità, proviene da rapporti disfunzionali e che a noi sembrano inconcepibili. E se l’idea di seguire Ichinokawa nella sua vita e nel suo lavoro di affittare affetto può sembrare accattivante e divertente, presto il documentario svela un registro più tragicomico se non pienamente drammatico: non sono solo i clienti, spesso incredibilmente soli, isolati da imperativi di regole formali, a disilludere e mostrare il vero volto di ciò che una società può creare (come una ragazza che si vergogna di dire al fidanzato di non avere più i genitori e organizza un incontro formale con il falso-padre in affitto, o il matrimonio in cui tutti gli invitati della sposa sono pagati e in affitto). Non è solo questo: la vita stessa di Ichinokawa è un dramma, lui, venditore di felicità e affetto e di controfigure paterne e chi più ne ha più ne metta, è più solo di tutti i suoi clienti. Se l’idea è venuta a lui, effettivamente c’è un motivo: è forse la persona che più di ogni altra ha bisogno di affittare una controfigura. Ignorato dalla famiglia, trascurato dalla moglie e cacciato dal suo letto matrimoniale dal figlio più piccolo, Ryuichi arriva addirittura ad accarezzare l’idea del suicidio (“l’assicurazione rimborserebbe la mia famiglia”, la casa non sarebbe più un problema).

Rent a family INC. Il punto di vista del danese su questa intrigante impresa giapponese, capace di divertire ma anche di incupire e far riflettere, ha fatto centro: complice un documentarismo e una regia ben orchestrati, con videocamere che si alternano bene per ricreare le scene rendendole con un piglio coinvolgente. Da segnalare dello stesso regista un altro documentario girato in Giappone: The Inventions of Dr. Nakamatau, su un ottantenne giapponese che ha firmato la bellezza di oltre 3.300 invenzioni nella sua vita (tra cui, rullo di tamburi, il floppy-disk!).

7.0

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