Recensione Regression

Dopo il drammatico Mare dentro e lo storico Agora, Alejandro Amenábar torna alla tensione e alle atmosfere cupe con Regression, fusione di giallo poliziesco e horror thriller ispirata a fatti veri.

Recensione Regression
Articolo a cura di

Se, una volta terminata la saga cinematografica del maghetto Harry Potter, Daniel Radcliffe si è riciclato nella ghost story The woman in black (2012) di James Watkins, anche la sua compagna di set Emma Watson non sembra propensa a rifiutare lavori rientranti, in un certo senso, nel genere horror; come dimostra questo Regression (2015), che, diretto dal cileno Alejandro"The others"Amenábar, si riallaccia in maniera evidente al filone delle sette sataniche su cui, nel periodo a cavallo tra la fine del XX secolo e l'inizio del XXI, hanno puntato gli spagnoli tramite Second name (2002) di Paco Plaza e i due lungometraggi di Jaume Balagueró Nameless - Entità nascosta (1999) e Darkness (2002).
Perché, ambientata nel Minnesota del 1990 e ispirata ad una serie di eventi realmente accaduti negli Stati Uniti durante gli anni Ottanta, la oltre ora e quaranta di visione pone la ex Hermione Granger del grande schermo nei panni di Angela Gray, la quale, trovati rifugio e pace nella religione dopo aver perso la madre in un incidente automobilistico, scoppia in lacrime durante un seminario nella chiesa del reverendo Beaumont alias Lothaire Bluteau e confessa di essere stata violentata dal padre John Gray, ovvero il David Dencik di Millennium - Uomini che odiano le donne (2011) di David Fincher.

Elementare, Watson

Padre che ammette la propria colpa senza averne memoria; man mano che lo psicologo Kenneth Raines, interpretato da David"Red 2"Thewlis, smaschera un orribile mistero nell'aiutarlo a rivivere i suoi ricordi e che Ethan Hawke concede anima e corpo al detective Bruce Kenner, sempre più coinvolto nelle indagini sul caso, a quanto pare riguardante rituali satanici.
E non manca neppure un rito con cannibalismo che richiama quasi alla memoria Il profumo della signora in nero (1974) di Francesco Barilli nel corso di un thriller psicologico che, un po' come Liberaci dal male (2014) di Scott Derrickson, tende a fondere il poliziesco con storie di diavolerie ed individui incappucciati.
Ma, se in quel caso ad essere privilegiata era la spettacolarità dettata dall'action, qui - complice la bella fotografia di Daniel Aranyó - a dominare è una cupa atmosfera resa ancor più inquietante da urla improvvise.
Atmosfera al cui interno, tra gatti neri e un momento di sesso da incubo, la migliore situazione viene regalata attraverso la sequenza dal sapore fortemente anni Settanta in cui Rose Gray, incarnata da Dale Dickey e nonna della protagonista, si trova in casa alle prese con misteriose voci.
Mentre provvede un finale differente dal solito e che lascia intravedere un certo impegno di critica sociale verso la psicosi di massa - tipica di una società sempre più influenzata dai media - a distaccare dai modelli sopra citati quella che, in fin dei conti, si rivela una riflessione sul male ed un'esplorazione delle scorciatoie della mente che - dichiaratamente ispirata al polanskiano Rosemary's baby - Nastro rosso a New York (1968) e L'esorcista (1973) di William Friedkin - si guarda senza spingere lo spettatore a gridare al capolavoro.

Regression “Il termine ‘regressione’ significa, tra le altre cose, ritorno. Per me questo progetto significa rivisitare il mistero, ritornare al genere che ha segnato l’inizio della mia carriera con Tesis, un film che esplorava il potere quasi ipnotico che, a volte, la contemplazione dell’orrore può avere su di noi, e proseguito poi con Apri gli occhi, un film allucinatorio e febbrile in cui sogni e realtà coesistono, e che poi è culminato con The others, un tentativo di recuperare il sapore dei vecchi film di suspense e classici. Cerco sempre cose che mi appassionano e mi motivano, quell’energia che, a volte, si trova esplorando cose che sono totalmente diverse. È per questo che ho esplorato generi diversi: dramma, horror, suspense o il genere misto del film Agora”. Parla Alejandro Amenábar, che, attraverso Regression, confeziona un thriller psicologico con sfumature di giallo e che non disdegna, però, neppure atmosfere e momenti da film dell’orrore nell’inscenare una cupa vicenda poliziesca atta a farci chiedere se il Diavolo non esista, ma esistano solo le cattive persone. La confezione tecnica è lodevole, ma, epilogo a parte, non ci si discosta molto dai film sulle sette sataniche che gli spagnoli proposero a terzo millennio appena avviato.

6

Che voto dai a: Regression

Media Voto Utenti
Voti: 2
5
nd