Recensione Redemption - Identità nascoste

Jason Statham protagonista di un film drammatico tutto da scoprire

Recensione Redemption - Identità nascoste
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Quando si tratta di un film con Jason Statham negli ultimi anni si parte prevenuti: i tempi di Snatch, Lock & Stock e Crank sembrano passati, mentre recenti titoli come Parker e I mercenari 2 non sono stati particolarmente significativi. Poi arriva uno sceneggiatore navigato come Steven Knight, già candidato all’Oscar per la miglior sceneggiatura per La promessa dell’assassino; oltre alla grande scrittura per Cronenberg, si affiancano i plot per Stephen Frears (Piccoli affari sporchi) e Apted (Amazing Grace). Il 2013 è l’anno del grande ritorno per Knight: quei sei anni lontano dal grande schermo sono stati solo una grande rincorsa per saltare dall’ammirevole scrittura del film di Cronenberg a un grande debutto in “doppietta”: Hummingbird (in Italia: Redemption: Identità nascoste) e il molto apprezzato Locke con Tom Hardy, uscito fuori concorso a Venezia. Si può allora dire che il 2013 è l’anno di “Knight rises”, visto che ha saputo realizzare uno dei film più amati di Venezia 70 e che con Redemption, antecedente di pochi mesi, ha riportato Statham in un ruolo significativo.

Trochilidae

Joseph Smith (Jason Statham) è un ex-soldato delle forze speciali, in fuga da un burrascoso e traumatico passato militare in Afghanistan. Ricercato dalla Corte marziale, Joseph è costretto a vivere nei bassifondi londinesi, spacciando metanfetamina e condividendo un “cartone” (un posto letto in strada) con Isabel, unico essere umano con cui abbia scambiato affetto da molto tempo. Ma presto le cose si complicano ulteriormente: una rissa coi padroni della strada, Isabel in fuga da una parte, Joseph dall’altra. Il film ci dice che è febbraio e siamo a Soho, Londra. Nella sua fuga dai gangster, Joseph finisce quasi casualmente nello studio di un importante fotografo in permanenza a New York fino al 1 ottobre. E’ l’occasione per “rimettere insieme i cocci”, curando le costole rotte, impossessandosi dei guadagni del fotografo e prestando servizio come scagnozzo-sicario per il gangster cinese della zona. Un viscoso tunnel dalle profondità abissali in cui si uccide e si viene uccisi. Toni bui, contasti chiaroscurali netti, impegnati a calcare impietosamente la mano sui personaggi disgraziati di un mondo che perde pezzi, ma il polmone della storia è sempre e solo uno: il trauma. Per Joseph, che ora si fa chiamare Joey Jones, il trauma è un hummingbird, il “colibrì” da cui prende nome il film, come il nome del drone che lo ha sorvegliato con sguardo panottico e sentenzioso, ingobbendolo dei suoi indelebili peccati. Per la suora Cristina (Agata Buzek), con cui Joseph/Joey intrattiene un legame di forte affetto e vicendevole redenzione, il trauma è la fine dei sogni, il mondo sporco che si è preso la sua vita. La chiamano l’”Angelo”, fa parte di una missione di soccorso dei senzatetto di Soho e il gruppo si chiama “Sisters of redemption” (il titolo scelto da M2 Pictures e Moviemax per la distribuzione italiana, certo comprensibile ai fini di marketing ma che inevitabilmente induce a “sgraziare” la delicatezza del plot, conferendo l’impressione dell’ennesimo film tamarro-adrenalinico con Statham spaccatutto).

In una Londra dai sapori dickensiani fortissimi, pressoché espliciti nel suo amalgama di violenza, criminali dei fangosi sobborghi, opere caritatevoli e bottiglie di gin come co-protagoniste, il cambio di identità è l’occasione per Joey di respirare un’”estate diversa”. Un’estate in cui il suo cambio d’identità servirà lentamente anche a far riemergere la reale identità di suor Cristina, una Agata Buzek meravigliosa nei suoi tratti spigolosi ma affascinanti, così ossessionata dall’idea di star migliorando Joey da non rendersi conto che è anche e soprattutto Joey a migliorare lei. Un plot che mischia quel contenuto action-adrenalinico che Statham sembra portare con sé in ogni contratto, ma giocato e ponderato su contrasti forti, calibrato sui pesi di una sceneggiatura di gran livello (non sarà Eastern Promises o Locke, ma è una signora sceneggiatura), sui vertiginosi sbilanciamenti tra il pieno e il vuoto, la devastazione dei vicoli e il pavido snobismo degli ambienti intellettualoidi. E un monito al grande sguardo panottico (una specie di occhio di Sauron in versione londinese-dickensiana contemporanea), lo sguardo della videosorveglianza, tanto polemizzata e osteggiata in questi anni, che tutti controlla e tutto vede.

Redemption - Identità nascoste Un film da scoprire. Un film da godere nel suo piacevole accento british in lingua originale. Un film cui bisogna approcciarsi sgombri da pregiudizi. Un film in cui la delicata tensione oppositiva tra i due poli del reduce di guerra e criminale Joey e della suora Cristina dai sogni infranti scatenano un campo elettromagnetico fuso a dialoghi e azioni che raramente si incontrano sul grande schermo. Forse, in circostanze di produzione più audaci, il risultato avrebbe potuto essere migliore, un po’ meno standard a livello dei grandi snodi narrativi dei tre atti e un po’ più calato in profondità nei punti forti dello script. Ma è una sorpresa e siamo grati a Knight/Statham/Buzek di questo.

7.5

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