Recensione Razza bastarda

Alessandro Gassman debutta alla regia con Razza Bastarda

Recensione Razza bastarda
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Alessandro Gassman, noto attore e figlio del celebre Vittorio, esordisce alla regia con Razza Bastarda (film di cui è anche interprete), trasposizione filmica della piece teatrale Cuba and his Teddy Bear (Roman e il suo cucciolo) dello scrittore cubano Reinaldo Podov. Una commedia nera che tende naturalmente al dramma e che sfrutta lo stato di ‘disadattamento e non appartenenza' extracomunitari per parlare di amori paterni poco funzionali alla crescita della prole e di una dipendenza ai ‘giri' malavitosi da cui è difficile (se non impossibile) liberarsi. Roman (Alessandro Gassman) è un immigrato rumeno semi-analfabeta che crede nella benevolenza della Madonna Nera e nel riscatto di una vita migliore da consegnare al proprio ‘cucciolo' (il figlio Nicu), che dal canto suo si vergogna e teme le proprie radici ‘bastarde' (nascondendole perfino alla ragazza). D'altro canto, però, sopravvivenza e appartenenza in quel limbo di vite così ai margini sono subordinate al ricatto di pericolose realtà parallele che intervengono a far quadrare i conti (economici e sociali) di quegli inferni pseudo-metropolitani. Così, mentre il riottoso Roman è impegnato a organizzare ‘lo spaccio' di una vita (quello che da solo potrebbe garantire il cambiamento che lui tanto anela), il suo cucciolo (affascinato dalle pericolose prodezze del misterioso amico Talebano) finirà ingenuamente nella rete di squali troppo grandi (e scaltri) per lui, finendo per mettere a repentaglio anche la tanto attesa ‘impresa paterna'.

Quando la ricerca di stile fagocita il contenuto

Ancora una storia il cui centro è lo stato di criminale-adeguatezza cui sono costretti tutti quegli stranieri senza identità, che raggiungono l'Italia senza un euro in tasca e con la sola idea (terribilmente errata) di riscatto in un luogo di salvezza. Attraverso il bianco e nero sparato e universalizzante della fotografia, accanto a una carrellata di personaggi tutti ugualmente fuori dal ‘cuore societario', Gassman vorrebbe raccontare la difficoltà dell'esser padri pur incarnando vite oggettivamente (e involontariamente) infarcite di valori negativi. Dal padre controverso, passando per l'amico fedele (Geco) e quello luciferino (Talebano), fino alla prostituta fragile e sofferente, tutto in Razza Bastarda lavora nel senso di dipingere con assoluto qualunquismo sia la comunità rumena sia quella della piccola (e media) criminalità. Una storia sostanzialmente già vista e meglio ritratta altrove, dove l'espressionismo visivo non si coniuga all'iperrealismo dei personaggi messi in campo. Volutamente sopra le righe, l'opera prima di Alessandro Gassman è un ritratto inappropriato non tanto dal punto di vista visivo ma quanto da quello del contenuto, che fa dell'essere rumeni un ritratto tanto folcloristico quanto ingiusto, nel suo essere calderone di esistenze urlanti e straparlanti senza senso; una ingenuità rappresentativa confermata anche da una parlata italo-rumena davvero improbabile. All'inadeguatezza della situazione di partenza si somma qui la totale incapacità di un padre (pur illetterato, pur pieno di guai) di comprendere il vero pericolo che rischia di minare la vita del proprio figlio; e siamo sicuri che questa ‘caratteristica' sia rinvenibile solo in padri-padroni provenienti dall'est? Il limite di film del genere è che rifuggono ogni categorizzazione, appagando - solo in piccola parte - la voglia d'intrattenimento, e in maniera del tutto trascurabile quella d'indagine sociale.

Razza bastarda Razza Bastarda è il primo film da regista di Alessandro Gassman (qui nella duplice veste di regista e interprete). Un’opera che si (im)pone fin dalle prime inquadrature con una forte cifra stilistica, rinvenibile tanto nella fotografia quanto in una caratterizzazione dei personaggi volutamente sopra le righe. Una ricerca di stile a tutti i costi che si appropria anche del contenuto del film, che si sviluppa tra facili denuncie e ritratti superficiali di un realtà molto complessa e ben più sfaccettata come quella di una comunità di extracomunitari strozzata e vittima di una realtà criminale che tende a fagocitare chiunque travalichi i confini ‘buoni’ della società. Un ritratto troppo ingenuo e troppo poco fuori dagli schemi per comunicare qualcosa di realmente nuovo (e interessante) sul tema ‘vite ai margini’.

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