Recensione Quod erat demonstrandum

Un film che tratteggia con chiarezza la non libertà di pensiero e relazione in tempi di regime

Recensione Quod erat demonstrandum
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Bucarest, 1984. Un matematico di talento (Sorin) fa pubblicare i risultati di una sua importante ricerca sua un rivista statunitense senza chiedere il permesso alle autorità, ma il Partito Comunista Rumeno non la prende bene e decide di fargliela pagare, mettendogli alle calcagna uno dei suoi più fidati collaboratori. E nella persecuzione messa in atto ai danni di Sorin entreranno in gioco non solo la possibilità di fallire la carriera accademica (già ostacolata dalla continua impossibilità di pubblicare le sue ricerche) ma anche il futuro delle persone a lui più care, tra cui Elena Buciuman, una storica amica che sta tentando di raggiungere il marito (anche lui matematico), ‘evaso' in Francia e mai più rimpatriato. Tra pedinamenti, intercettazioni e falsità ognuno dei protagonisti sarà infine costretto a seguire la strada verso la propria ‘salvezza' nonostante ciò comporti passare sopra la fedeltà ai propri valori, alla propria etica e soprattutto ai propri sentimenti. Quod erat demostrandum, come volevasi dimostrare, ovvero la locuzione di prassi usata alla fine di ogni dimostrazione fisico/matematica rimanda dunque a una banale quanto inconfutabile verità: "quando il 'gioco' si fa duro il margine per tenere in considerazione le altrui necessità si assottiglia - in proporzione - sempre di più".

Come volevasi dimostrare

Se Le vite degli altri (già citatissimo nel confronto con questo suo ‘cugino' tematico Quod erat demostrandum - film rumeno in concorso all'ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma) apriva un varco ideologico e artistico sulla società della Berlino Est assediata dal Partito Comunista, Quod erat demostrandum (pur simile nella messa in scena delle dinamiche persecutive del partito comunista e del claustrofobico senso di non-libertà derivante), segue con maggiore ‘isolamento narrativo' e semplicità le dinamiche di una manciata di esistenze ugualmente condizionate (forzate) nelle loro scelte dal ‘burattinaio' comunista, avvolgendole in un bianco e nero atemporale e ancor più silente. Marionette alla mercé del volere del padrone, Sorin, Elena e lo stesso informatore della polizia sono infatti i protagonisti silenti di Quod erat demostrandum, inquadrati dal regista Andrei Gruzsniczki in una fase di conflittualità sociale destinata a divenire sempre più interiore e vissuta nell'ottica di un crescente condizionamento che limiterà non solo praticamente la loro vita (restare in Romania, fuggire in Francia, (s)vendere i propri amici in cambio della salvezza) ma anche e soprattutto la loro possibilità di relazionarsi con gli altri scevri da pressioni psicologiche. Andrei Gruzsniczki dirige un buon film che ritrae con rigorosa precisione la pressione e la paura instillate dal regime, potendo contare sull'ottima interpretazione di Ofelia Popii nei panni di Elena e di Sorin Leoveanu in quelli dell'omonimo protagonista Sorin. I loro personaggi, contenuti e anzi sottoesposti, restituiscono con rigore lo stato d'implosione inquadrato dal film ed evidenziano (in linea con la fotografia) la lenta ‘decolorazione' delle loro vite spiate, mercificate, e sempre più proibite.

Quod erat demonstrandum Quod erat demostrandum, film del rumeno Andrei Gruzsniczki, porta a casa il Premio Speciale della Giuria al Festival Internazionale del Film di Roma 2013. Un riconoscimento meritato che sottolinea il tatto e la pregnanza di un’opera che mira a rappresentare il crescente appiattimento societario indotto dal ‘modus operandi’ dittatoriale.

7.5

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