Recensione Qualcosa di speciale

Recensione del film con Jennifer Aniston e Aaron Eckhart

Recensione Qualcosa di speciale
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"Fu un momento molto difficile per me, all'inizio non riuscivo a crederci, e in un certo senso negavo quanto accaduto. Per circa un anno non sentii nulla. Poi, all'improvviso, il dolore mi colpì da un giorno all'altro, e ne fui sopraffatto per sei mesi. Ma in quel periodo ho avuto modo di scoprire che c'è qualcosa di interessante nell'elaborazione del lutto e in ciò che la gente vive in queste circostanze".
Con queste parole, lo scrittore e sceneggiatore Brandon Camp - cui dobbiamo lo script de Il segno della libellula-Dragonfly con Kevin Costner - racconta di quando perse la madre, trovando la fonte d'ispirazione per Qualcosa di personale, suo esordio dietro la macchina da presa che - co-sceneggiato dal collega di vecchia data Mike Thompson - parte dalla figura del dottor Burke Ryan, con le fattezze dell'ottimo Aaron Eckhart de Il cavaliere oscuro (2008).
Stimato terapista sulla cresta dell'onda in procinto di concludere un importante accordo professionale, quest'ultimo è in realtà il primo a non riuscire a mettere in pratica i suoi preziosi consigli e, nel momento sbagliato, sembra incontrare la persona giusta: Eloise Chandler alias Jennifer Aniston, la quale, decisa a dedicarsi esclusivamente alla sua attività floreale e a non volere avere più nulla a che fare con gli uomini, si sente subito attratta da lui.

Parola del co-sceneggiatore Mike Thompson

Ci siamo chiesti: “Cosa fai e come reagisci dopo una perdita?” Abbiamo cercato di fare luce su alcuni temi esistenziali, e sulle relazioni suscitate da un lutto e dalla morte, cercando però di non restare invischiati nell’aspetto più lacrimoso e patetico della questione, ma piuttosto esplorando il tema della casualità e del superamento di un fatto drammatico. Il nostro obiettivo era fare un film sulla trasformazione e sulla luce, sulla speranza e sulla gioia, sulla redenzione e sulla rinascita.

Aaron, ti presento Jennifer

"Abbiamo immaginato un cosiddetto guru dei sentimenti, uno di questi autori contemporanei che vanno tanto di moda e che dispensano consigli su come vivere meglio; ma il nostro protagonista, nonostante abbia successo, è un groviglio di contraddizioni" spiega Thompson di questa pellicola che, prodotta dallo stesso Scott Stuber che con la Aniston aveva già lavorato in Ti odio, ti lascio, ti... (2006) di Peyon Reed, nei panni del suocero di Burke vede coinvolto anche il veterano Martin"Apocalypse now"Sheen.
Una pellicola che, come c'era da aspettarsi, al di là dell'elemento romantico fa della morte la tematica maggiormente presente, tanto da tirare in ballo perfino una visita sulle tombe di Bruce e Brandon Lee.
E, complice un non disprezzabile uso della colonna sonora, soprattutto nel corso della prima parte la regia non risulta affatto male, per poi infiacchirsi strada facendo.
Infatti, che dietro la macchina da presa si trovi uno scrittore lo si capisce dai tempi narrativi dilatati in maniera evidente oltremisura, i quali vanno a rendere eccessivamente lenta la già non breve visione (siamo sui 125 minuti circa), volta soltanto a ribadire che, quando si è in viaggio, per una cosa che finisce ce n'è un'altra che inizia.
Ad un certo punto, infatti, la sceneggiatura sembra terminare le frecce del proprio arco e perfino il personaggio della Aniston, in teoria co-protagonista, appare quasi forzatamente infilato nella storia.

Qualcosa di speciale Lo scrittore e sceneggiatore Brandon Camp esordisce dietro la macchina da presa con una vicenda riguardante uno di quei guru che parlano alle folle di gente in cerca di consigli. Il risultato finale, però, narrativamente fiacco ed eccessivamente lungo, è un racconto su celluloide che non colpisce il cuore né per quanto riguarda il lato drammatico, né quello romantico. Complice con ogni probabilità il lungo passato su carta dell’autore, ancora non troppo capace di scrivere senza fare ricorso alla penna, ma attraverso l’esclusivo ausilio della camera.

5

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