Recensione Pericle il nero

Dalle pagine di Giuseppe Ferrandino alla macchina da presa di Stefano Mordini, Pericle il Nero arriva a Cannes negli occhi di Riccardo Scamarcio ma rimane un lavoro nebuloso e fallace.

Recensione Pericle il nero
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"Mi chiamo Pericle, e di mestiere faccio il culo alla gente". Comincia così il romanzo di Giuseppe Ferrandino, e allo stesso modo inizia in questo modo a raccontare il suo personaggio Riccardo Scamarcio: l'attore traduce su pellicola i tormenti di Pericle il nero, ragazzo senza passato e senza futuro che ha negli occhi una vita fatta solo di istanti che si susseguono. Pericle non ha affetti, non ha un lavoro vero e proprio, ha solo Don Luigi: il piccolo boss di una Napoli periferica usa il ragazzo come soldato, raccontandogli le sue origini e crescendolo accanto a sé per poi sfruttarlo, allo scopo di sodomizzare chi non paga i pizzi. Lui esegue gli ordini senza battere ciglio, e nel frattempo continua a collezionare istanti senza significato finché un evento inaspettato non scompiglierà le carte in tavola, e lo costringerà a fare i conti con la sua vera identità. Una ricerca piena di impervie strade e di nebbia che non si dirada nonostante lui cerchi disperatamente di far luce: a Pericle non basta l'assaggio di una routine familiare e del calore di una donna, né i racconti sul suo passato per riuscire a trovare una risposta convincente sulla sua vera identità - che forse è il caso, semplicemente, di smettere di cercare.

Muoversi nella nebbia

Stefano Mordini , a cui Riccardo Scamarcio in veste di produttore oltre che di attore affida la regia, sembra esattamente come il suo protagonista non riuscire a districarsi in un labirinto di parole certamente difficili da trasporre su schermo: il testo di Ferrandino è fatto di battute dialettali e di dialoghi incisivi, che tuttavia il regista non riesce a tradurre efficacemente in immagini finendo per ridurre la maggior parte delle spiegazioni ad una semplice quanto didascalica voce fuori campo, che inizia già dalle prime battute del film. Non aiuta la scelta in fase di produzione di dividere la storia tra Napoli e Bruxelles, probabilmente per una questione prettamente economica visto il coinvolgimento dei fratelli Dardenne (e quindi del Belgio, monetariamente parlando) all'interno della produzione. Purtroppo la scelta stilistica finisce per creare un effetto boomerang, che divide la storia di Pericle il Nero tra Bruxelles e Napoli senza una base solida che possa rendere credibile i continui cambi di scenario e di lingua: sono questi ultimi forse il peccato più grande, perché negano al personaggio un'identità profonda, che risulta al contrario spaccata a metà.

Un gioco in mano ai personaggi

Nonostante il lavoro di sceneggiatura risulti piuttosto discontinuo e regali ai personaggi secondari un ruolo spesso troppo marginale, Riccardo Scamarcio si presta come fil rouge che si muove perfettamente tra di loro, riuscendo a convincere nel legare la storia. Il suo Pericle beneficia di uno sguardo tormentato che Scamarcio non ha paura di affrontare, e restituisce alla macchina da presa un personaggio rigido, bloccato nel fisico così come nella mente, spesso incapace di provare delle vere emozioni - e ancor meno di esternarle. Il suo lavoro riesce a dare al film quel minimo di armonia di cui necessitava, ma non salva del tutto una pellicola insicura, che tra testo ed immagini non sembra riuscire a trovare una vera armonia.

Pericle il nero Riccardo Scamarcio si veste del ruolo di produttore oltre che di attore e porta a termine, grazie anche all'aiuto produttivo dei fratelli Dardenne, l'esperimento di Pericle il Nero. La scelta registica cade su Stefano Mordini, che tuttavia fallisce nel dare una vera identità al film e finisce per scivolare in un noir classico, a cui manca l'anima che tanto aveva conquistato i francesi nelle pagine di Giuseppe Ferrandino. Un esperimento fallace, che purtroppo convince solo grazie alla prova attoriale dello stesso Scamarcio, decisamente sorprendente.

5

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