Recensione Paranormal Activity 2

Recensione del sequel di Paranormal activity

Recensione Paranormal Activity 2
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Nel neanche troppo lontano 1999, quando internet non era propriamente alla portata di tutti come lo è oggi, a secondo decennio del XXI secolo appena iniziato, una minuscola produzione cinematografica di genere horror costata circa 60000 dollari finì per trasformarsi in un vero e proprio caso al botteghino grazie soprattutto alle fasulle notizie diffuse attraverso la rete.
S'intitolava The Blair witch project-Il mistero della strega di Blair e, diretta a quattro mani dagli esordienti Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, spacciava per autentico il cronologico assemblaggio di pellicole e nastri audiovisivi realizzati da tre studenti universitari misteriosamente scomparsi mentre tentavano di realizzare un documentario su una leggendaria strega del villaggio di Burkitsville, anticamente chiamato Blair.
Un autentico, grande bluff che, costituito da circa settanta minuti di montaggio caratterizzati da un certo effetto mal di mare dovuto alle soggettive della camera impazzita, non solo finì per trarre in inganno tantissimi spettatori (quelli italiani un po' meno, visto che il film giunse nelle sale cinematografiche dello stivale tricolore quando la sua reale natura era già stata svelata), ma rivoluzionò il concetto di cinema indipendente, fornendo anche un'interessante strada alternativa alle produzioni low budget.
Però, perché parlare dell'ormai classico di Myrick e Sánchez in questo contesto? Perché tra il 2009 e il 2010, quindi a circa dieci anni dal loro film, Paranormal activity, opera prima di Oren Peli concepita nel 2007 sfruttando l'irrisoria cifra di 11000 dollari, si è affacciata nel panorama di celluloide internazionale rivelandosi un autentico fenomeno al box office, proprio come successe con il lungometraggio sulla strega di Blair; anche se il produttore esecutivo Steven Schneider tiene a precisare: "A differenza di quanto hanno fatto gli autori di The Blair witch project, noi non abbiamo mai pensato di proporre il nostro film come falso documentario; non abbiamo negato che fosse reale, ma neanche rinnegato la realtà del film".

Cine-fenomeni paranormali incontrollabili

Al centro di Paranormal activity, il cui notevole successo è sicuramente riconducibile al tam tam pubblicitario esploso sul web dopo che Steven Spielberg ha dichiarato di esserne rimasto terrorizzato dalla visione tanto da decidere di distribuirlo in sala con un finale - diverso da quello originale - appositamente rigirato, avevamo la coppia formata da Katie Featherston e Micah Sloat, i quali, convinti che la loro nuova abitazione fosse infestata da una malefica presenza, decidevano di installare delle camere di ripresa ad alta definizione per poter riprendere cosa accadeva mentre dormivano la notte.
Un'operazione che finiva per costruirsi quasi per intero sull'abbondanza d'inquadrature fisse al cui interno, progressivamente, accadeva qualcosa di paranormale, dalla porta della stanza che si muoveva da sola all'apparizione d'impronte sul pavimento. Un'operazione sicuramente meno propensa di The Blair witch ad arrecare mal di testa allo spettatore, ma che, apparendo come essa in vesti molto più vicine a quelle di un esperimento volto a riprodurre una realtà non vera che di un classico racconto horror per immagini, finiva per risultare non poco soporifera, regalando forse l'unico spavento proprio nell'epilogo spielberghiano - debitore in maniera evidente nei confronti del cinema della paura orientale alla The ring e The grudge - dei circa 83 minuti di visione.
Ed è ovvio che, come accaduto per il film del 1999, che già l'anno successivo ebbe il sequel Il libro segreto delle streghe: Blair witch 2, diretto da Joe Berlinger ricorrendo però ai classici cliché del teen-horror, non poteva mancare un immediato Paranormal activity 2, inizialmente affidato al Kevin Greutert responsabile dell'ottimo Saw VI, ma poi passato nelle mani del Tod Williams che aveva firmato nel 2004 The door in the floor, dramma tratto dal romanzo Vedova per un anno di John Irving e interpretato da Jeff Bridges e Kim Basinger.
Un secondo tassello che, nonostante il numero 2 riportato nel titolo, rivela fin dal suo avvio le fattezze di un prequel, anziché quelle di un sequel, ponendo i nuovi eventi narrati in un periodo collocabile sessanta giorni prima della tragica morte di Micah.
Quindi, a Carlsbad, in California, anche se ritroviamo Katie, i veri protagonisti di questa nuova vicenda sono i componenti della famiglia Rey, suoi parenti, costituita da madre, padre, figlia maggiore e figlio piccolino, i quali, appunto, si trovano costretti ad installare nella propria abitazione un sistema di videosorveglianza dal momento in cui cominciano ad attribuire ad eventi soprannaturali quelli che credevano essere tranquillamente atti vandalici commessi da ignoti.

Paranormal activity -1

E chissà se il fatto che il papà si chiami Daniel Rey non voglia essere un omaggio all'omonimo produttore e compositore musicale che spesso ha lavorato con i Ramones, tenendo in considerazione anche che le pareti della stanza in cui dorme la figlia maggiore sfoggiano proprio due poster riguardanti la mitica punk band newyorkese cui si devono Blitzkrieg bop e Pet sematary.
Al di là di questa piccola curiosità e del budget levitato a 2750000 dollari (del resto, tra i produttori esecutivi c'è l'Akiva Goldsman di Io sono leggenda), comunque, siamo tutt'altro che distanti dallo stile e dalle caratteristiche che furono alla base del capostipite.
Si riparte infatti con la consueta soggettiva proto-filmino casalingo proveniente dalla videocamera tenuta in mano da uno dei protagonisti, la quale provvede a presentare in tutta fretta ambienti e personaggi; poi, a cominciare dalla notte del 7 agosto 2006, si procede nuovamente con le solite inquadrature fisse atte a monitorare diversi ambienti della casa.
Diciamo che, mentre viene anche specificata la differenza tra fantasmi e demòni (con l'accento sulla "o", non démoni), le minime novità sono questa volta rappresentate dal fatto che l'attacco finale da parte dell'entità maligna occupa qualche minuto di più.
Ma, per il resto, tra oggetti che cadono o si spostano da soli e cane e bambino che, in qualche modo, cercano di far capire agli altri che sul posto imperversa un malvagio intruso invisibile, abbiamo nuovamente la lunga, soporifera attesa che già aveva caratterizzato il film di Peli. La domanda, quindi, sorge spontanea: era proprio necessario realizzare un remake-fotocopia del primo Paranormal activity basandolo però su un soggetto che gli fornisse una mascheratura da antefatto?

Paranormal Activity 2 Nonostante il numero 2 nel titolo, il film non è un sequel di Paranormal activity ma il suo prequel, che rivede nel cast la Katie Featherston del capostipite. La regia passa dalle mani dell’esordiente Oren Peli a quelle del Tod Williams che firmò nel 2004 il drammatico The door in the floor con Kim Basinger e Jeff Bridges, ma il risultato finale non è che cambi molto. Sembra infatti di assistere ad un rifacimento di Paranormal activity, con l’unica differenza che gli eventi narrati sono questa volta quelli accaduti nei sessanta giorni precedenti al tragico epilogo del film di Peli. Quindi, se vi è piaciuto il primo film, vi soddisferà anche questo secondo, ma niente di nuovo sotto il sole.

5.5

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