Recensione P.O.E. - Poetry of eerie

Edgar Allan Poe secondo tredici registi indipendenti

Recensione P.O.E. - Poetry of eerie
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Fin dai lontanissimi tempi del muto Sherlock Holmes in the great murder mystery, datato 1908, non sono stati in pochi ad attingere dalle sue opere per trasferirle sullo schermo.
Nato nel 1809 a Boston e deceduto a Baltimora soltanto quarant'anni dopo, il geniale scrittore, poeta e critico letterario Edgar Allan Poe non può fare a meno di essere ancora oggi identificato come uno dei maggiori rappresentanti del racconto gotico, inventore di quello poliziesco, della letteratura horror e del giallo psicologico.
E, appunto, a ricordarcelo ha provveduto per oltre un secolo la Settima arte, che, pur annoverando alcune delle migliori pellicole ricavate dai suoi scritti tra quelle firmate dal re dei b-movie Roger Corman, autore negli anni Sessanta de La maschera della morte rossa e Il pozzo e il pendolo, conta oltre duecento produzioni - più o meno conosciute - di derivazione poeana.
Produzioni che vanno da La caduta della casa Usher di Jean Epstein, risalente al 1928, a The pit and the pendulum di David DeCoteau, del 2009; passando per il Tre passi nel delirio che, nel 1968, vide accanto a Roger Vadim e Louis Malle anche l'italiano Federico Fellini al timone di regia.
Come tutto italiano è anche questo progetto che si propone di rispolverare attraverso tredici episodi realizzati da quindici registi indipendenti la poetica di colui cui dobbiamo Morella e Lo scarabeo d'oro.

Tredici passi nel delirio

Progetto che apre con Silenzio, concepito da Angelo e Giuseppe Capasso guardando in maniera evidente alle moderne ghost story giapponesi, i quali sfoggiano uno stile da non sottovalutare come pure l'Alessandro Giordani responsabile de La sfinge, con protagoniste una misteriosa epidemia e la Laura Gigante di Albakiara-Il film.
Gli occhiali di Matteo Corazza, invece, con il suo montaggio veloce e dinamico, precede il Valdemar firmato da Edo"Bloodline"Tagliavini, che si ritaglia anche il ruolo di un mago televisivo nel corso di un divertente tassello che sembra guardare al periodo del muto nello scegliere la strada del grottesco e dell'umorismo.
Poi, prima di Gordon Pym, diretto a quattro mani da Giovanni Pianigiani e Bruno Di Marcello - già presenti nel collettivo Finché morte non vi separi - e destinato a fare efficace sfoggio di frattaglie, liquido rosso e cannibalismo attraverso un look da splatter movie anni Ottanta, abbiamo Il cuore rivelatore di Manuela Sica, abbinamento poco chiaro tra immagini e lettura del racconto di partenza.
Mentre Paolo Gaudio propone una simpatica versione animata alla Tim Burton de Il gatto nero, Simone Barbetti inscena una Ligeia ben girata ma senza mordente e Rosso R. Fiorentino sfrutta la poesia Il corvo per un fiacco segmento interamente narrato in prima persona.
E, procedendo in ordine, dopo il non esaltante L'uomo della folla di Paolo"Mad in Italy"Fazzini, ambientato nella Roma moderna e caratterizzato da un finale a sorpresa, e Berenice, diretto da Giuliano Giacomelli - co-regista con Lorenzo Giovenga de La progenie del Diavolo - e discretamente immerso in vecchie atmosfere gotiche nostrane e denti strappati, si chiude con Il giocatore di scacchi di Maezel, ovvero una partita a scacchi quale metafora della vita che permette all'autore Domiziano Cristopharo di manifestare di nuovo l'apprezzabile cura estetica già sfoderata nei suoi lungometraggi (The museum of wonders, per citarne uno), e Song del fantomatico Yumiko Itou, tutto basato sui dettagli.
Quindi, come c'era da aspettarsi e come spesso accade con operazioni raggruppa-artisti di questo tipo, il risultato finale - e ciò dovrebbe essere già intuibile dall'analisi effettuata - non riesce a evitare di apparire altalenante, seppur non disprezzabile.
Ma è chiaro che un'operazione di questo tipo, concepita a basso budget e con tanta voglia di fare, debba essere obbligatoriamente interpretata prima in qualità di biglietto da visita dei cineasti coinvolti, anche se non tutti esordienti, poi come manifestazione di volontà di tornare a praticare un genere cinematografico che i produttori e le major tricolori d'inizio XXI secolo sembrano volere a tutti i costi far credere morto e sepolto.

La versione da sala

P.O.E. - Poetry of eerie approda nelle sale del circuito Distribuzione indipendente in una versione ridotta.
Infatti, mentre il lungometraggio integrale sarà disponibile on demand su Own air (www.ownair.it), l'edizione lanciata in sala presenta soltanto gli otto segmenti Silenzio, La sfinge, La verità sul caso Valdemar, Le avventure di Gordon Pym, L'uomo della folla, Il gatto nero, Il giocatore di scacchi di Maelzel e Canto.

P.O.E. - Poetry of eerie Quindici registi indipendenti per tredici episodi atti a rispolverare la poetica di Edgar Allan Poe. Considerando i diversi stili destinati a susseguirsi in maniera non troppo uniforme, il rischio di cadere nella morsa della fiacchezza è spesso imminente, ma l’insieme, pur senza spingere a gridare al miracolo, si lascia tranquillamente seguire se lo spettatore riesce a scindere ogni storia dall’altra. Con un sequel già annunciato.

6

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