Recensione Oranges and Sunshine

L'esordio di Jim Loach, figlio di Ken

Recensione Oranges and Sunshine
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Fino alle fine degli anni Sessanta tra il governo inglese e quello australiano ci sono stati degli scambi di bambini, costretti a migrare altrove a causa della presunta morte dei loro genitori. Questo l'incipit che ha dato il via alla produzione di Oranges and Sunshine, primo lungometraggio di Jim Loach, in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma.

Scoperti per caso

Margaret Humphreys (Emily Watson) è un'assistente sociale che vive e lavora a Notthingam. Una notte si imbatte casualmente in una strana donna che le racconta di essere stata mandata in Australia quando era molto piccola a bordo di una gorssa nave, insieme a tantissimi altri bambini. Le avevano raccontato che i suoi genitori erano morti e l'avevano chiusa in un istituto oltre oceano, ma poi aveva scoperto che quella non era la verità. Lo strano caso avvia la riscoperta di una spirale di casi simili, di gente come Jack (Hugo Weaving) o Len (David Wenham), sottratti alla propria vita con la promessa di una esistenza migliore, desiderosi oggi solo di scoprire chi sono veramente, ritrovare origini e famiglie. Rintracciare la verità e tutti i segreti nascosti dietro questi strani casi diventa la missione personale e il lavoro di Margaret. Sola, contro governo e istituzioni religiose e lontana dalla propria famiglia.

Una storia sommersa

Durante un periodo compreso tra il 1930 e il 1970 oltre trentamila bambini orfani o indigenti, che si trovavano sotto la tutela del governo inglese, furono costretti a emigrare dall'Inghilterra e deportati in Australia, con un programma governativo che dichiarava di voler offrire a questi bambini nuove opportunità e allo stesso tempo fornire all'impero braccia forti e bianche. Molto spesso a questi bambini veniva detto che i loro genitori erano morti e che al di là dell'Oceano avrebbero incontrato un futuro migliore, in un posto dove cogliere da soli le arance per colazione e dove splende sempre il sole. Una volta arrivati li, invece, venivano costretti a lavorare e subivano ogni tipo di abuso fisico e psicologico, in una situazione definita come un deserto affettivo. Uno scandalo rimasto completamente nascosto fino a quando Margaret Humphreys non l'ha scoperto per caso e lo ha riportato alla luce attraverso il suo lavoro di lotta e ricerca e pubblicando il libro "Empty Cradles". Adesso la storia è pronta a oltrepassare i confini dei Paesi protagonisti e raggiungere il territorio internazionale con Oranges and Sunshine, appunto le arance e il sole promessi ai bambini in partenza, grazie alla versione cinematografica di Jim Loach. Il regista, dopo aver conosciuto la scrittrice e aver avuto accesso a tutti i materiali raccolti durante gli anni, ha cercato di ricostruire l'intera vicenda trasformandola in una storia il più unitaria possibile. Riduce quindi le storie importanti a tre, che si alternano e scontrano continuamente, mostrando come uno stesso destino può avere effetti differenti sulle persone. Particolarità comune a tutti i suoi protagonisti è, però, la loro capacità di non identificarsi con delle vittime. Provati della loro ragione di esistere fin da molto piccoli, ridotti a persone talmente alienate da essere convinte di essere pari a nulla, questi ex ragazzi hanno un carattere forte e determinato e accettano il proprio passato come qualcosa staccato dal presente. Hanno pagato i propri debiti e si sono distaccati da quello che la deportazione li ha costretti a vivere, ma hanno un solo grande problema. Non sanno chi sono. Questa scelta di personaggi dal carattere molto forte riduce la facile empatia che lo spettatore automaticamente è portato a provare verso vittime dai facili sentimenti. Loach invece sceglie di andare oltre e di nascondere la potenza del proprio lavoro nella potenza dei fatti e nella forza dei propri attori.

Un lento raccontare

Registicamente Oranges and Sunshine insegue un realismo in dissolvenza, dove l'audio spesso di sfuma e sovrappone con le immagini in differita, e il montaggio intervalla il normale corso del tempo con brevi e suggestivi flash, tutto fotografato con una nitidezza reale, come se la vicenda si stesse svolgendo davanti ai nostri occhi e non sul grande schermo. Ma il vero punto forte della pellicola sono i suoi interpreti, tra i quali primeggia una perfetta Emily Watson. Forte ma sensibile, determinata e allo stesso tempo impaurita, la sua Margaret è credibile in ogni gesto e espressione e commuove e convince lo spettatore senza dover fare grandi sforzi. Merito anche dell'appoggio di Hugo Weaving e David Wenham, destinati a interpretare due uomini diversissimi tra loro eppure entrambi attratti dalla forza magnetica della donna. Tre performance davvero molto buone che innalzano il film a un livello di credibilità e empatia superiore. Tutto perfetto se non fosse che, data la complessità e la sensibilità dell'argomento trattato, neanche Loach è riuscito a scampare dalla minaccia di facili retoriche e dialoghi a volte stucchevoli e irreali che, inseriti in un frammento cronologico costretto a correre, sembrano arrivare dal nulla, come conseguenze di azioni non fatte. Il nemico principale del film è proprio il tempo: i 104 minuti di proiezione sembrano non riuscire a contenere la storia nel modo più appropriato. Le vicende a volte sembrano chiedere maggior tempo e lo stesso regista sembra aver girato il tutto con la convinzione di avere molto più spazio a propria disposizione, dilatando così momenti che pesano sulla narrazione, rendendola a tratti melliflua e conducendola verso una conclusione quasi inesistente.

Oranges and Sunshine Triste, riflessivo, rivelativo: Oranges and Sunshine è un film drammatico dalle buone possibilità che porta alla luce una parte della storia di Inghilterra e Australia fino a pochi anni fa completamente dimenticata. Purtroppo, la mole di materiale e anni di lavoro alle spalle, sono riuscite a intaccare il lavoro di Loach che, al suo primo lungometraggio, cade nel tranello tipico di chi cerca di ridurre troppe cose in tempi cinematografici normalmente ristretti. Ma le ottime performance del cast riescono a coprire i caratteristici difetti dell’opera, rendendola degna di uno sguardo, almeno per colmare i propri vuoti e perché no, come i protagonisti, scoprire qualcosa in più su noi stessi e la nostra storia in quanto uomini.

6

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