Recensione Noi e la Giulia

Edoardo Leo racconta la buffa storia di cinque falliti che si mettono grottescamente contro... la camorra!

Recensione Noi e la Giulia
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"Siamo la generazione del Piano B. lavorare in questo paese fa così schifo che quando allo schifo per il lavoro si aggiunge quello per la città cominci ad elaborare il tuo piano B. A vent'anni era il chiringuito sulla spiaggia. A quaranta, quasi sempre, si tratta di un agriturismo".
Con le fattezze di Luca Argentero, facendo riferimento agli italiani d'inizio terzo millennio è il quarantenne Diego a parlare in Noi e la Giulia, tratto dal libro Giulia 1300 e altri miracoli di Fabio Bartolomei, nonché terzo lungometraggio diretto da Edoardo Leo, a cinque anni da Diciotto anni dopo e a due da Buongiorno papà.
Un dipendente fallito di una concessionaria d'automobili la cui fuga dalla città è destinata a farlo incontrare con altri due insoddisfatti sconosciuti: Claudio alias Stefano Fresi, maldestro erede di una dinastia di gastronomi, e Fausto, interpretato dallo stesso regista, truffaldino "uomo di spettacolo" con grottesche tendenze politiche di destra.
Un trio che si ritrova unito nell'impresa di trasformare in agriturismo un vecchio e diroccato casale sito nelle campagne del sud della penisola; con il supporto del cinquantenne invasato e fuori tempo massimo Sergio, ovvero un comunistissimo Claudio Amendola che non esita ad impugnare falce e martello all'occorrenza, e la giovane incinta e fuori di testa Elisa, cui concede anima e corpo una Anna Foglietta fornita di accento toscano; se ad ostacolare il loro sogno non arrivasse il curioso camorrista Vito, con il volto di Carlo Buccirosso, giunto sul posto per chiedere il pizzo.

Campagna anti... camorra!

Perché il titolo del film non fa riferimento ad una donna, bensì alla vecchia Giulia 1300 su cui viaggia quest'ultimo, simbolo di quell'Italia del boom che, come si può metaforicamente intendere, è finita sepolta a causa dei poco raccomandabili individui fattisi strada nel paese degli spaghetti.
Un'Italia che stenta a riemergere perché tutti, cresciuti con il mito del posto fisso, non lavorano più con gioia e non sembrano affatto credere nelle proprie azioni; rifiutandosi, oltretutto, di portare avanti una guerra per tenersi ciò che è già loro, come fanno, invece, i qui protagonisti quando decidono di ribellarsi al sopruso del malavitoso.
Protagonisti in attesa di inevitabili, tragiche conseguenze e che, in partenza, si presentano quasi come una variante dei precari visti in Smetto quando voglio di Sydney Sibilia (da cui provengono, tra l'altro, Leo e Fresi), per poi prendere una originale ed inedita direzione man mano che la colonna sonora countreggiante di Gianluca Misiti provvede efficacemente ad accentuare l'atmosfera da moderna commedia western.
Commedia western volta a ribadire che occorre veramente poco per creare un paradiso, soprattutto se si riesce ad apprendere che è l'unione a fare la forza, perfino nei momenti apparentemente privi di speranza e contro gli ostacoli più grandi; come testimonia, nel corso della oltre ora e cinquanta di visione, anche il fondamentale aiuto fornito da laboriosi extracomunitari del Ghana.
Oltre ora e cinquanta di visione che Leo, sfoderando una sequela di situazioni e battute divertenti (compresa una azzeccata frecciatina a Maria De Filippi) atte a garantire il buon ritmo, confeziona proponendo in chiave leggera un argomento solitamente (e purtroppo) oggetto delle maggiormente tristi vicende di cronaca nera tricolore.
Oltretutto, con una regia dal taglio fortemente internazionale che in pochi, nel sempre più desolante panorama di celluloide nostrano, sembrano essere in grado di permettersi.

Noi e la Giulia Lotta, sogni, amicizia, amore, fallimenti, ideali vivi ed altri persi di cinque estranei che, nel trasformare un fatiscente casale rurale del Sud Italia in un agriturismo, finiscono per trovarsi ad avere a che fare con la prepotenza della camorra. È ciò che Edoardo Leo, prendendo le mosse dal testo Giulia 1300 e altri miracoli di Fabio Bartolomei, racconta in Noi e la Giulia, sceneggiato insieme al Marco Bonini che già lo aveva affiancato nell’esordio registico Diciotto anni dopo (2010). Con un cast in ottima forma e la Paradise cantata da Phoebe Cates inclusa nella colonna sonora, una tragicommedia capace di strappare non poche risate attraverso battute tutt’altro che già sentite e situazioni piuttosto originali; man mano che tende a ribadire l’importanza del rimanere uniti e pronti all’azione (qualunque sia il credo politico od il colore della pelle) in un sempre più deluso e disilluso belpaese quotidianamente stretto nella morsa della malavita. Riconfermando le già testate doti da commediante doc dell’attore-regista.

7

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