Recensione Noah

Darren Aronofsky e il suo kolossal fantasy-biblico

Recensione Noah
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Prima di accostarsi a Noah, nuova fatica “biblica” di Darren Aronofsky, è necessaria una premessa. La Bibbia va considerata in questo caso una normale raccolta di racconti, scritti in epoche diverse e aventi tutti lo stesso personaggio centrale, di lunghezza e stile variabile. Un testo letterario e non sacro, insomma. Se si cerca l’afflato religioso, si rischia di alterarsi causa blasfemia.
Di Noè, il secondo patriarca biblico, nella Sacra Bibbia non è scritto molto. Conosciamo i nomi della sua genia e della sua progenie, ovviamente solo di quella maschile, i tempi erano quelli che furono. Lo spazio lasciato all’immaginazione per cui è ampissimo, ed ecco che, nella penna di Aronofsky e Ari Handel, quei due passi della Genesi diventano un kolossal fantasy con creature mitologiche (nominate nella Genesi) e gesta riscritte di sana pianta, eroici intenti e decisioni così pesanti da prendere che solo gli eroi...

Noè e la sua famiglia diventano dei fruttariani raccoglitori di solo ciò che è necessario, talmente ecologici da chiamare "giustizia" l’uccisione di tre uomini che avevano ferito un animale. Il patriarca nipote di Matusalemme diviene un pluriomicida in nome di Dio e la decisione di estinguere il genere umano si insinua laddove, nel testo sacro, c’era l’intento di ripopolare la terra anche con l’uomo, ma dalla progenie di un uomo retto e pacifico. La figura della donna, completamente reinventata, è il nocciolo del revisionismo. Già che c’era, Aronofsky poteva evitare il maschilismo bieco, affermando che una donna che non può avere figli non è una vera donna, ponendo accanto a Noè una figura sbiadita che fa quello che dice il marito anche quando egli minaccia atti indicibili (e che non vogliamo spoilerare troppo). Insomma, volendo per forza inserire le figure femminili, avrebbe potuto almeno rispettarle. Ma questa è una postilla.

"Costruiremo un'Arca per gli innocenti"

Ciò che appare invece evidente è la totale mancanza di senso della misura di un regista che ha fatto della reiterazione di scene, inquadrature, concetti nei dialoghi, la sua cifra stilistica. Oltre ai primi piani su tutti i personaggi, giganti di roccia compresi. A trarre giovamento da questa ridondanza è senza dubbio l’impianto visivo, all’avanguardia e decisamente sontuoso. Una serie di special effects tutti assolutamente in funzione della storia narrata e mai fine a loro stessi. Quello per cui avremmo desiderato dei limiti è invece la recitazione complessiva. Con un cast di assoluto livello come questo, il rischio di strafare è sempre dietro l’angolo, e ci sembra che il buon Darren questa volta non sia stato particolarmente capace nel porre dei limiti, scivolando troppo spesso nell’ipersensazionalismo da sceneggiato italiano.


Russel Crowe è un Noè atletico, per i suoi seicento anni, un combattente fortissimo che da solo può affrontare un esercito. Potere del veganesimo. Ma anche il premio Oscar può davvero poco se come creta ha un personaggio incoerente e abbozzato a grandi linee, un uomo non più retto, ma invasato da una presunta fede verso una giustizia divina che però la sceneggiatura non ha la forza né il coraggio di mettere in discussione davvero (come hanno fatto in passato altri film come Jesus Christ Superstar, tanto per citarne uno). Noè è il protagonista di un fantasy debole, che non riesce a costruire una mitologia solida, di un impianto narrativo irrisolto anche se concluso, un uomo ottuso, violento, lontano anni luce non solo dal patriarca, ma anche dell’eroe che avrebbe potuto essere.


Il ritmo è assente in questa apoteosi un po’ troppo morbosa e indugiante su concetti e atti di estrema violenza, indica senza ombra di dubbio cosa è il male, è ben più incerto su ciò che è bene, in un susseguirsi di noiose riflessioni subito scacciate da assolutismi e decisioni imposte. Il tutto inserito in scene belle da vedere e di elementare fruibilità, per le quali il bel 3D si fa elemento di contorno esaltante per gli esteti.
Un cenno particolare va ai costumi: jeans consunti e magliettine cool, gilet e casacche che potremmo vedere nei negozi oggi. Un’indecisione e una poca coerenza che non provano nemmeno la carta dello steampunk o della boutade alla Sofia Coppola. Forse l’abito non fa il patriarca, però così conciato Noè sembra uscito da un servizio di Mugatu.

Noah Un impianto scenico ed effetti speciali ottimi, in funzione di un racconto che però, oltre al revisionismo storico e religioso, apre questioni che non si concretizzano da nessuna parte. Un soggetto pretestuoso per raccontare qualcosa che non trova nessuna utilità narrativa o etica. Ottimi gli attori, forse un po’ troppo lasciati a strafare.

5.5

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