Mortal Kombat, dal videogioco al cinema: la recensione

Il primo film tratto dall'omonimo videogame di culto, diretto da Paul W.S. Anderson: la nostra recensione di Mortal Kombat.

Mortal Kombat, dal videogioco al cinema: la recensione
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La saga di Mortal Kombat è sicuramente tra le più amate dai videogiocatori. Nel 1995 la New Line Cinema, cercando di sfruttarne il successo che dilagava tra i giovanissimi, decise di realizzarne una trasposizione cinematografica, divenuta a suo modo uno (s)cult cui si fa riferimento ancora oggi quando si citano le pellicole tratte dai videogame. In attesa di informazioni sulla prevista nuova produzione ispirata al titolo Midway, riscopriamo perciò il primissimo Mortal Kombat diretto da un giovane Paul W.S. Anderson alla sua prova seconda dietro la macchina da presa (aveva esordito l'anno precedente col crime movie Shopping con Jude Law) e sua prima incursione in film tratti dal mondo videoludico, ben prima di giungere ai "fasti" della saga di Resident Evil. Basata sulla sceneggiatura scritta da Kevin Droney e fortemente ispirata ai primi due capitoli usciti su console, la storia ha per protagonisti principali Liu Kang (in cerca di vendetta per la morte del fratello minore), Johnny Cage (action-star di Hollywood determinata a dimostrare di essere un vero combattente) e Sonya Blade (agente delle forze speciali sulle tracce dell'assassino del suo partner), che vengono invitati ad un misterioso torneo d'arti marziali, il Mortal Kombat. Organizzatore dell'evento è Shang Tsung, insidioso leader dell'Outworld, reame parallelo a quello delle Terra. Se i campioni dell'Outworld vincono per dieci volte di fila la competizione, il loro imperatore sarà in grado di invadere e conquistare la Terra. E le nove volte passate la vittoria è andata a loro favore...

Round 1: Fight

Non era certo impresa facile quella di trasporre un picchiaduro, nato in origine proprio per la sua componente prettamente ludica, su celluloide, ma nonostante tutto alcuni difetti sono difficilmente perdonabili ad Anderson, o meglio alla struttura intera del progetto. Se infatti in alcuni versanti il risultato non è propriamente orribile, come nella discreta resa coreografica di alcuni scontri, la non banale realizzazione delle ambientazioni e degli effetti speciali e una sottile ironia (a volte cercata, ma altrove scadente nel ridicolo involontario), è proprio nella sua componente narrativa che Mortal Kombat mostra le sue lacune maggiori. Dopo la prima mezz'ora infatti la storia vede una sequela di incontri marziali incessante, senza però offrire sempre una ragione logica e lasciando che la furia del testosterone regni sovrana senza un motivo valido. La stessa caratterizzazione dei personaggi vive su stereotipici a tratti fastidiosi: abbiamo infatti il classico guerriero orientale predestinato, la star del cinema dall'ego spropositato e la bella di turno in cerca di vendetta. Tagliando corto sulla figura di Raiden, resa ancor più imbarazzante da un Christopher Lambert dalla folta e bianca chioma completamente fuori parte, e del villain Shang Tsung (l'altrove bravo Cary-Hiroyuki Tagawa è qui inguardabile), la ricerca spasmodica di ricreare come figure iconiche i caratteri non certo approfonditi della fonte originale lascia il tempo che trova, trovando invece il magnetismo maggiore in figure di contorno come Sub Zero e Scorpion, che forse proprio grazie al loro mutismo si rivelano le più convincenti. Con un finale che lascia le porte aperte al seguito, realizzato due anni dopo con un cast quasi del tutto nuovo ("sopravvivono" solo gli interpreti di Kitana e Liu Kang), la prima versione cinematografica di Mortal Kombat può esser riguardata con tenerezza ma è assolutamente indifendibile dal punto di vista qualitativo.

Mortal Kombat Con dietro la macchina da presa un allora giovane regista "di genere" come Paul W.S. Anderson, la prima incarnazione su celluloide di Mortal Kombat è un film pieno di ingenuità narrative e di imperfezioni a non finire, produzione di nicchia destinata perlopiù agli amanti del videogame (destinati a divertirtirsi a scoprire citazioni e riferimenti) ma incapace di raggiungere una qualsiasi sufficienza qualitativa. E con un Christopher Lambert che strappa risate, ahinoi involontarie, a non finire.

5

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