Recensione Monuments Men - Second opinion

Alla sua quinta regia Clooney costruisce un film che non spicca tanto per valore formale quanto per quello concettuale

Recensione Monuments Men - Second opinion
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Seconda Guerra Mondiale, la Germania nazista e gli uomini di Hitler hanno fatto razzia di ciò che restava dell'Europa e hanno defraudato ogni singola nazione dei propri 'beni'. Deciso a fare del proprio meglio per difendere la cultura 'del mondo' Frank Stokes (stimato professore e storico dell'arte) metterà su (grazie a un'audace missione approvata dello stesso Roosvelt) un gruppetto (sette uomini per la precisione) di esperti e intenditori d'arte che dovranno riunirsi tra le macerie della guerra al fine di recuperare le opere già razziate da Hitler e salvare ‘in extremis' quelle che il Fuhrer è in procinto di rubare e destinare al suo ambizioso progetto del ‘Museo del Fuhrer' (ovvero una delle tante e distruttive manifestazioni di megalomania del dittatore tedesco). Questo gruppetto di soldati dell'ultima ora ma uomini dall'indubbio valore morale (due storici e un esperto d'arte, un architetto, uno scultore, un mercante, un pilota britannico e un soldato ebreo tedesco impegnato a fare da traduttore), partirà dunque alla volta della Germania per ritrovarsi nel bel mezzo del campo di battaglia - tra sangue e morte dilagante - e pronto a rischiare finanche la vita pur di portare a termine la propria missione, ovvero restituire alle proprie origini le tantissime opere rubate agli ebrei deportati o alle città sventrate, e poi riunite tutte sotto lo stendardo tedesco. Una missione racchiusa tutta nella bellissima scena in cui un malinconico James Rorimer (interpretato da un incorruttibile Matt Damon) riporrà sulla parete spoglia di una casa abbandonata un quadro appartenuto alla famiglia ebrea lì vissuta e ora deportata senza possibilità di ritorno. Ecco, in quel quadro solitario appeso nel vuoto e nel soqquadro generato dalla follia nazista, è racchiuso il simbolo di ciò che quella missione significò: non solo per gli uomini divenuti ‘missionari' o per le nazioni direttamente coinvolte, ma per il mondo intero. Questo è infatti non solo il racconto di una vicenda mirabile, ma (più in generale) la storia di una ‘restituzione' messa in atto non tanto per salvare un'opera (seppur di inestimabile valore come la Madonna di Bruges di Michelangelo o un dipinto di Picasso o van Gogh) quanto per impedire che quell'idea di distruzione cancellasse totalmente e definitivamente l'identità culturale e sociale che quelle stesse opere rappresentano, e di cui noi tutti siamo parte.

Una lezione di 'storia dell'arte' davvero importante

In quest'ultimo lavoro di Clooney regista non ci sono (soltanto) il formalismo e il rigore narrativo di opere come Le idi di Marzo; c'è piuttosto la struttura portante di un'idea fondamentale, ovvero quella di civiltà. E se Monuments Men risulta da una parte forse un lavoro non sempre perfetto  che cerca di trovare un suo equilibrio (e in buona parte ci riesce pure) tra il dramma (quello immanente della distruzione del Nazismo) e la commedia (quella generata da una comitiva affiatata e bizzarra di uomini - e attori - dall'indiscutibile carisma), dall'altra quest'ultimo film del poliedrico Clooney è trascinato soprattutto da un'idea e da un ideale. Se Hitler puntava non solo a disfarsi di milioni di persone ma (con esse) anche di tutta la loro storia, dei loro raggiungimenti, di ciò che avrebbe potuto (nel tempo) ricordarli e preservarli, Clooney dal canto suo punta a chiarire questo nesso logico per rivendicare (infine) l'importanza dell'arte (o delle opere in generale) in quanto testimoni e ‘memoria tangibile' di intere ere e civiltà. Ed ecco perché la ‘grande fuga' dei protagonisti di Monuments Men attraverso le buie miniere tedesche e verso il fine di riportare alla luce quasi cinque milioni di opere, diviene tema catalizzante e significante stesso del film. E in questo senso anche se non tutto appare perfetto come potrebbe (o come appare il cast davvero d'eccezione, che riunisce insieme George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin e Cate Blanchett), o esattamente al proprio posto, è il messaggio sotteso al film sull'importanza della cultura come unica chiave per preservare il passato e comprendere il futuro ad aggiungere valore a un'opera che (tecnicamente) poteva forse aspirare a qualcosina in più.

Monuments Men George Clooney al suo quinto lavoro da regista porta sul grande schermo la storia di sette uomini divenuti celebri per aver salvato circa cinque milioni di opere d’arte (inclusa la celeberrima Madonna di Bruges) dalle grinfie della follia nazista e dal pericolo dell’oblio (sociale e culturale). Un film che ancora una volta ritrova la regia asciutta e incisiva di Clooney ma che lascia spazio più che alla tecnica alla potenza del contenuto. In generale un buon prodotto che sopperisce a qualche imperfezione proprio grazie alla forza del messaggio (quanto mai necessario in tempi di ‘deculturalizzazione’ come questi) sull’importanza delle opere (d’arte e non solo) per la nostra coscienza storica, e civile. Insomma un film che ci ricorda (e non è poco) come la cultura sia, di fatto, un antidoto per l’oblio.

7

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