Recensione Mister Chocolat

La straordinaria storia vera del primo grande artista francese nero, nella Parigi di fine Ottocento: fra risate e a punte di amarezza, numeri da clown e audaci piece teatrali, la coraggiosa sfida di un artista nero alla Francia razzista della Belle Époque

Recensione Mister Chocolat
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Cosa si può celare dietro il volto mascherato e truccato di un clown nero nella Parigi borghese e padrona del mondo, nell'epoca della Belle Époque? Provano a raccontarlo i produttori Eric e Nicolas Altmayer, portando al cinema un interessante biopic, una storia dimenticata e che meritava di essere diffusa: quella del primo grande artista nero in Francia, il clown Chocolat. E chi più adatto a interpretarlo se non l'attore francese di punta degli ultimi anni, Omar Sy? Consacrato al successo da Quasi amici nel 2011 e consolidato da Troppi amici, la carriera dell'attore è in continua crescita (ha recentemente recitato in Jurassic World e Il sapore del successo), e guarda caso anche in questo film è chiamato ad un'interpretazione di coppia, in un duo con il co-protagonista James Thierrée. Il film diretto da Roschdy Zem, Mister Chocolat, è la storia della straordinaria vita e dell'imprevedibile carriera di Rafael, il primo nero ad esibirsi come clown con il nome di Chocolat, in duo con la controparte Footit (James Thierrée), diventando una stella della spettacolo in una Francia imborghesita, fatta di poteri forti e tradizionalista, che alla sua massima espansione coloniale dimostra tutta la propria chiusura xenofoba e razzista.

SE LA VITA È COME UN GRANDE CIRCO...

Il robusto ragazzone nero che si esibisce al Cirque Delvaux, un piccolo circo di periferia senza troppe pretese, si fa chiamare Kanuda (Omar Sy) ed il suo compito è spaventare gli spettatori. Questo fino al momento in cui George Footit (James Thierrée), clown reduce dai fasti della celebrità ma ormai in declino, vede in lui la grande opportunità di qualcosa mai fatto prima: il primo duo con un clown nero. E l'idea funziona a meraviglia: al pubblico della Francia colonialista e xenofoba del XIX secolo piacciono le movenze ridicole del clown nero, che ora si fa chiamare Chocolat, ma soprattutto piace quando prende calci nel sedere dal suo compare bianco Footit. Il successo è tale che dal 1886 il duo comincerà a esibirsi al Nouveau Cirque di Joseph Oller a Parigi. La loro ascesa è un cammino stellare fatto di risate e scrosci di applausi per quasi 15 anni... finché una nuova idea prende forma nella testa di Chocolat. I "bianchi" lo trattano con superiorità, la convinzione di essere un loro pari si dimostra solo un'illusione. Ed è allora che intraprendente il suo progetto più audace e ambizioso: recitare l'Otello di Shakespeare, in un coraggioso atto di denuncia e provocazione verso la razzista società francese.

ÊTRE CHOCOLAT

Être chocolat in francese è un modo di dire, "restare con un palmo di naso". Un'oscura profezia su un film fatto di luci e ombre, che mescola i toni della commedia e del film drammatico. Ad un primo tempo giocato prevalentemente sul registro commediale e sulla scalata al successo del duo Footit-Chocolat, segue un secondo tempo cupo, concentrato sulla presunzione imperialista e razzista della società francese. Facendosi portavoce di una storia ormai dimenticata, il film diventa un forte messaggio di denuncia, nonostante la scarsa fedeltà del biopic alla vera storia del clown Chocolat. Interessante l'idea di raccontare Chocolat nel suo tentativo di rivalsa con la scelta di interpretare l'Otello di Shakespeare (soprattutto per il messaggio di denuncia comunicato dall'opera shakespeariana, ma anche per il parallelismo col travagliato adattamento di Orson Welles): nella realtà Chocolat, che cominciò a farsi chiamare Rafael, interpretò Moïse in uno spettacolo di Edmond Guiraud, ma mai l'Otello. Gli autori hanno preferito fondere la traccia biografica della storia di Chocolat con una più profonda analisi del contesto storico e la scelta dell'Otello si rivela come sottotesto azzeccato per raccontare il coraggioso desiderio di riscatto di un attore nero che cerca di essere riconosciuto nella sua piena dignità in una società ancora chiusa e impreparata.

Mister Chocolat La storia scelta dagli Altmayer contiene tutti gli ingredienti per coinvolgere il pubblico e aspirare al successo. La regia non cerca virtuosismi e si perde un po’ nell’uso eccessivo della dissolvenza, a tratti quasi snervante, ma nel complesso il film funziona. È un’opera narrativa abbastanza tradizionale, che basa la sua forza sull’originalità del soggetto e il fascino del film in costume in una delle epoche più affascinanti di Parigi. Il film sembra però entrare scarsamente in profondità nei rapporti umani: per esempio, non indagata per niente la figura di Footit, il clown bianco che pare quasi depresso e di cui si accennano alcuni conflitti, senza mai tentare una risoluzione o una spiegazione. Brusco e fin troppo accelerato tutto il segmento finale, privo di un vero climax drammaturgico, incapace di tirare le somme. Nella sostanza, un film gradevole e godibile, che porta però l’amarezza di aver tirato via con troppa fretta alcuni aspetti fondamentali.

7

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