Recensione Mià e il Migù

Una fiaba moderna che denuncia moderni 'mostri'

Recensione Mià e il Migù
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Il cinema d'animazione francese, che ci ha recentemente dimostrato (con quel piccolo capolavoro 2D dal titolo L'illusionista) di essere in grado di confezionare prodotti di rara sensibilità artistica, sbarca nuovamente nelle nostre sale (non molte a dire il vero) con un altro prodotto d'animazione firmato dal regista Jacques-Remy Girerd, dal titolo Mià e il Migù, già premiato agli European Film Academy (gli Oscar Europei del Cinema).

I valori dei giovani

Mià è una bambina di dieci anni, volitiva, con una folta chioma di capelli a incorniciarle il viso, che vive in un villaggio dell'America del Sud sotto la protezione di tre sagge vecchiette. La madre è morta da tempo mentre il padre, Pedro, ha dovuto lasciarla per andare a lavorare in un cantiere oltre la foresta. Una notte, svegliatasi di soprassalto con il presentimento che qualcosa di brutto sia accaduto al padre, Mià deciderà di mettersi in viaggio per la foresta alla ricerca del genitore. Sulla sua strada le verranno in aiuto una vecchia veggente e gli spiriti della foresta, i Migù. Nel frattempo un imprenditore edile senza scrupoli, Jackhide, sta cercando di concludere un colossale affare per la costruzione di un complesso alberghiero d'èlite (simil-Dubai) nel cuore della foresta (amazzonica?), che prevede l'abbattimento dell'albero sacro dei Migù, un pantagruelico fusto che nasconde la sua meravigliosa chioma sotto terra. Ma gli spiriti della foresta, che non sembrano affatto d'accordo a farsi da parte, hanno messo fuori uso il cantiere, mettendo a repentaglio sia gli affari di Jackhide, sia la vita di Pedro, padre di Mià rimasto sepolto vivo sotto le macerie in seguito al crollo. Il viaggio di Mià alla ricerca del padre finirà per intrecciarsi con quello di Aldrin, figlio coscienzioso di Jackhide che non condivide lo spirito egoista e colonizzatore del padre e che tenta, nel suo piccolo, di combatterlo. Insieme, Mià e Aldrin, aiutati anche dai buffi e litigiosi ‘guardiani' della foresta, i Migù, cercheranno di salvare la foresta - e il vitale albero sacro - dalla smania umana di urbanizzazione, dando agli adulti un grande insegnamento di civiltà, legato ai valori del rispetto della natura e della vita, qualsiasi essa sia.

Occidente vs. Oriente

Da quando Miyazaki ha fatto il suo ingresso nel mondo dell'animazione (una ventina d'anni or sono), mettendo in ombra perfino quella che fino ad allora era stata la casa di produzione regina dell'universo dei cartoni (la Disney), il cinema d'animazione ha assunto un nuovo volto, fortemente legato ai valori e ai simbolismi della terra del Sol Levante. Da quel momento è diventato naturale confrontare ogni nuovo prodotto facente parte della categoria con gli esemplari prodotti realizzati del maestro nipponico. In Mià e il Migù c'è senza dubbio un richiamo a quelle che sono le tematiche da sempre molto care a Miyazaki, come quella ambientalista-ecologista o quella onnipresente della collaborazione sia tra umani sia tra umani e natura. La storia di Mià, bambina del mondo povero alla ricerca del padre, sfruttato e quasi ucciso dall'insensibilità del mondo ricco, ricorda per molti versi la splendida fiaba della Principessa Mononoke, dove la storia ruotava similmente attorno alle forze della natura ribellatesi alla smania di dominio umano e dove la tempra e i valori di due giovani ‘guerrieri' avrebbero infine riportato la pace tra gli elementi. In questo raffronto, quasi scontato viste le numerose similitudini tra i temi trattati e il simbolismo utilizzato (ad esempio lo spirito della foresta che in Mià diventa l'albero sacro), è impossibile non riscontrare una netta differenza di piani/livelli narrativi.


Sognando Miyazaki

Mià e il Migù ha senza dubbio il pregio di vantare bellissimi fondali color pastello che sembrano sfilare davanti ai nostri occhi come dei veri e propri quadri impressionisti sulla scia di Cezanne e Van Gogh (cui gli autori si sono dichiaratamente ispirati), un sapiente uso dei colori dai grandi contrasti (rosso-violacei o di un verde-azzurro brillante per rappresentare le opposte forze del male e del bene), e un trascinante sottofondo musicale. A livello narrativo però, è qui ritorna in ballo il maestro nipponico, il film segue chiavi di lettura piuttosto elementari, forse più facilmente accessibili a un pubblico bambino, ma di gran lunga meno liriche e suggestive dell'epica emozionale veicolata da Miyazaki nei suoi lavori. È come se tutte le metafore e i simbolismi narrativi di Miyazaki fossero stati sostituti e asciugati tramite cliché di più facile lettura, come ad esempio nel rapporto di Aldrin con i suoi genitori (bianco con la madre, nero col padre), privi di tutte quelle diverse tonalità che rendono una storia interessante perché ricca di strati da sfogliare prima di poter giungere al suo cuore. Dunque se a livello visivo Mià e il Migù ha l'attrattiva di un quadro impressionista in evoluzione, a livello narrativo si tratta di un affresco privo di quelle sfumature indispensabili per trasformare una qualunque storia condita di bei valori in una fiaba incantata dalle mille suggestioni.

Mia e il Migu Il cinema d’animazione francese torna nella sale con Mià e il Migù, favola eco-ambientalista che indaga temi moderni come il rapporto con genitori assenti o la linea di confine tra scampoli di mondo ricco e mondo povero. Un lavoro che gode a livello estetico dell’ispirazione impressionista e dunque di colori caldi al servizio di fondali che hanno tutto il fascino del disegno a mano, ma che a livello narrativo soffre di una eccessiva demarcazione tra forze del bene e del male e di un simbolismo che si riduce spesso a cliché, impedendoci di volare davvero alto, come spesso abbiamo fatto grazie alle iperboli narrative del maestro Miyazaki, con cui questo film condivide parecchie ispirazioni.

6.5

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