Max Payne, la recensione del Film

Scandaloso questo film è un buco nell'acqua. E' lutto per i videogiocatori.

Max Payne, la recensione del Film
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“Erano tutti morti...”

Signori, alzate i calici e brindate: Max Payne debutta sul grande schermo... O per meglio dire, avremmo voluto esordire in questo modo, in cuor nostro ci credevamo. Invece la realtà dei fatti mina fortemente le nostre aspettative come quelle di qualsiasi altro amatore del buon cinema, al di là della licenza sfruttata. Il film diretto da John Moore (Behind Enemy Lines, Omen: Il presagio) è qualcosa di imbarazzante, scritto senza tenere conto di alcuna continuità logica e privo di qualsivoglia spessore intellettuale/emotivo/ludico. Max Payne è, semplicemente, un pessimo esempio di cinema (anche di intrattenimento). Non solo sminuisce l'opera originale modificandone l'essenza, ma ne appiattisce l'atmosfera, elimina importanti tracce psicologiche ed emotive, limitandosi a proporre una storia banale, prevedibile, stracolma di buchi narrativi e fondamentalmente poco dinamica. E' assurdo, perché se riflettiamo al potenziale a cui la produzione avrebbe attinto per sviluppare la pellicola, il lavoro sembrava quasi fatto. Un detective a cui hanno portato via tutto ciò che aveva si trasforma in un killer assassino assetato di vendetta. La sua mente è corrotta, la vista annebbiata. Uccide senza errori; è diretto e intransigente, preciso e arrogante. Non teme la morte, la combatte ad armi pari.

L'omonimo videogioco ha segnato un'epoca, grazie ad una sceneggiatura brillante, un doppiaggio avvolgente (impossibile dimenticare la voce di Giorgio Melazzi), un'atmosfera noir e l'innovativo sistema denominato “bullet time”, per mezzo del quale il giocatore si lanciava a rallenty in sparatorie ispirate palesemente alla cinematografia di John Woo e al rivoluzionario, per l'epoca, Matrix dei fratelli Wachowski.

Il volto della pena

Nel primo capitolo, Sam Lake, il creatore del personaggio nonché sceneggiatore dei due videogame, è anche il volto di Max Payne. Nel secondo invece è stato ricreato prendendo a modello le fattezze dell'attore Timothy Gibbs, conosciuto in America per aver preso parte a diverse soap opere di discreto successo (Another world e On life to life). Il regista del film, John Moore, nel cercare un volto che riprendesse lo sguardo rude (leggasi “monolitico”) e cattivo del protagonista, non ha avuto dubbi su quale attore potesse interpretare un simile ruolo. Difatti, prima che si iniziasse a parlare del casting, aveva già proposto il nome di Mark Wahlberg ai producer.

“L'ultimo colpo fu come il punto esclamativo a chiusura di tutto quello che era successo.”

Max payne è un agente di polizia esemplare. Un giono, tornato a casa sorridente come sempre, scopre moglie e figlia assassinate. Da quel quel giorno giura di vendicarsi in ogni modo e inizia a investigare sul traffico di droga che sembra collegato indissolubilmente all'omicidio della sua famiglia. Decide allora di arruolarsi nella DEA, la Drug Enforcement Agency, e inizia una missione sotto copertura per arrivare ad identificare i boss della famiglia mafiosa che controlla la produzione ed il traffico della Valchiria. Durante la missione però Max viene incastrato per l'omicidio di un collega che non ha commesso, e si ritroverà braccato sia dalla mafia che dalla polizia.

“Allentai la presa sul grilletto... Era tutto finito.”

Nel tentativo di (re)mixare i primi due capitoli videoludici, l'esordio del trentenne Beau Thorne lascia imbarazzati. Il suo script si dimostra fedele nel mantenere certi legami con l'opera originale - la droga, i riferimenti alla mitologia norrena, la società Aesir, i flashback - ma è incapace di amalgamarli decentemente in un unico contenitore. I personaggi si muovono all'interno del ”gioco” in modo incoerente (BB Hensley, Jason Colvin, Jim Bravura) e molti (tutti) mancano di un adeguato approfondimento psicologico (chi è Mona Sax? Perché aiuta Max Payne e cosa rappresenta per lui?). Tale sensazione di incompiutezza aleggerà fastidiosamente fino ai titoli di coda, anche dopo l'exploit dei presunti (e prevedibilissimi) colpi di scena.
In generale il regista irlandese sembra fare il verso ai classici B movie col suo impersonale occhio artistico, che ammicca ai noir soprannaturali degli anni 40. Mettendo da parte le assurde visioni di mostri alati, rappresentazione visiva degli effetti allucinogeni della droga Valchiria, le sequenze non restituiscono quella meravigliosa sensazione che riservava il gioco originale (e quando vi verrà svelato il perché, starete già sbadigliando da un pezzo). Ciò è dato principalmente dall'incredibile mancanza di scene d'azione virulente e coreografiche - la prima, brevissima sequenza in slow motion dura pochissimo e arriva dopo circa 1 ora di dialoghi! - e da un'inesistente accompagnamento sonoro. Una regia poco duttile quindi, che utilizza effetti speciali scadenti e si narra per mezzo di attori-macchiette da dimenticare. Nonostante Mila Kunis e Mark Wahlberg somiglino alle rispettive controparti ludiche, i dialoghi ne smorzano le personalità tanto che le loro azioni avranno un valore esclusivamente motorio. In questo clima desolato di ottimi spunti, dove a motivare il progetto sembra sia stata la previsione di un facile incasso, Max Payne si risolleva parzialmente grazie alla fotografia di Jonathan Sela. Troppo poco per un film imbarazzante sotto quasi tutti i punti di vista. E per i videogiocatori di tutto il mondo è ancora lutto.

Max Payne John Moore dirige con leggerezza e banalità un soggetto a dir poco improponibile. Fastidioso nel suo raccontarsi in maniera impersonale e illogica; diametralmente opposto rispetto al plot da cui trae spunto e fin troppo povero d'azione. Una trasposizione patetica, noiosa e inconcludente. Max Payne non poteva esordire sul grande schermo in maniera peggiore (Uwe Boll almeno lo avrebbe reso comico). I videogiocatori tuttavia si consoleranno con quel meraviglioso ricordo che li lega affettivamente ai due capolavori giocabili firmati Remedy.

4

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