Recensione Masks

Il thriller anni Settanta rispolverato dai tedeschi

Recensione Masks
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Almeno per il pubblico dei seguaci irriducibili dell'orrore su celluloide, il nome del tedesco Andreas Marschall dovrebbe richiamare alla memoria l'acclamatissimo Lacrime di Kali, strutturato su tre episodi il cui comune denominatore era la setta psico-religiosa Taylor-Errickson e vincitore nel 2004 presso il Ravenna Nightmare Film Festival.
Un più che apprezzato biglietto da visita che ha permesso al cineasta di farsi conoscere nell'ambito della Settima arte di genere, al cui servizio torna con quello che, dedicato ai maestri italiani del thriller Mario Bava, Dario Argento e Sergio Martino, è nelle sue parole un sentito omaggio a Suspiria, primo tassello della trilogia sulle Tre Madri concepita dall'autore di Profondo rosso tra il 1977 e il 2007.
Infatti, con un prologo destinato immediatamente a impressionare lo spettatore, si comincia nella Berlino del 1973, per poi spostare l'ambientazione a trentotto anni dopo, nella stessa città, dove la giovane attrice Stella, con le fattezze dell'esordiente Susen Ermich, respinta da numerose accademie d'arte drammatica, viene accettata alla scuola Matteusz Gdula, fondata negli anni Settanta da una insegnante dai metodi poco ortodossi.

Profondo Marschall

Ma, soprattutto per chi conosce bene il filone che ci regalò cult e classici del calibro di Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci e La morte cammina con i tacchi alti di Luciano Ercoli, risulta subito chiaro che il referente di Marschall non sia soltanto il citato horror a sfondo stregonesco interpretato da Jessica Harper e Alida Valli; bensì, un po' tutta la filmografia argentiana del periodo d'oro e i suoi emuli.
Non a caso, man mano che l'ambiente in cui la protagonista si ritrova si rivela piuttosto ostile, tanto che la sua unica amica sembra essere Cecile alias Julita Witt, la quale non abbandona mai l'edificio, a dominare sono colori, uso della camera e fotografia tipicamente derivati dal decennio in cui spopolò la disco-music; per non parlare della colonna sonora, dai temi che appaiono piuttosto simili a quelli mitici composti a suo tempo da Stelvio Cipriani (nonostante il regista dichiari di aver musicalmente attinto dalla soundtrack de Il gatto dagli occhi di giada di Antonio Bido).
Perché, mentre veniamo a conoscenza di un'ala della scuola che rimane sempre chiusa a chiave e, tra strani avvenimenti, sparizioni e rumori inquietanti, non mancano sanguinolenti omicidi orchestrati in maniera tale da conferire vera paura, è proprio questa atmosfera legata al passato a rappresentare l'ingrediente vincente dell'operazione.
Quell'atmosfera che, oggi del tutto cancellata dalla fredda estetica moderna dettata dal digitale e dalle cosiddette tecnologie avanzate, dalle nostre parti sembra ormai essere irrimediabilmente relegata ad un lontano ricordo del periodo in cui sapevamo fare cinema di genere e rappresentavamo una scuola per tutte le cinematografie del mondo.
Come Marschall tende a ribadire, omaggiandoci attraverso una storia di tensione che, allegoria relativa agli attori che darebbero il sangue per avere il successo, si costruisce su lenti ritmi di narrazione posti a corredo di una lodevole regia.

Masks Chi lo ha detto che solo Quentin Tarantino e Robert Rodriguez siano in grado di attingere dal nostro grande cinema di genere del passato per concepire operazioni capaci di mandare in visibilio lo spettatore d’inizio XXI secolo? Ponendo tra le immagini il concetto “Le emozioni sono il nostro sangue”, il tedesco Andreas Marschall - autore di Lacrime di Kali (2004) - omaggia Suspiria (1977) di Dario Argento, ma rispolvera un po’ tutto il thriller italiano degli anni Settanta attraverso una pellicola il cui affascinante look rimanda proprio a quel mitico decennio... e riesce anche nella non facile impresa di incutere paura. Di sicuro, il miglior lungometraggio presentato presso il XXXII Fantafestival di Roma.

7

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